Negozi chiusi la domenica: coro di «sì»

Terni, lavoratori del commercio d’accordo con la proposta di legge annunciata dal ministro Di Maio: «Liberalizzazione disumana, non ha neanche aiutato occupazione e affari»

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Il ministro dello sviluppo economico Luigi Di Maio sembra deciso, domenica lo ha ribadito nuovamente: «Entro la fine dell’anno approveremo la legge che impone la chiusura nei weekend e nei festivi a centri commerciali e negozi, l’orario non può più essere liberalizzato». Un annuncio che sta creando un accesso dibattito ma che, come era prevedibile, viene ‘benedetto’, anche a Terni, dai tanti lavoratori del commercio costretti a sacrificare le loro domeniche – e spesso non solo quelle – per stare dietro al bancone.

La domenica è «sacra»

«Ho lavorato per diversi anni in un centro commerciale, aperto praticamente 365 giorni l’anno, domeniche e festività incluse, ed io lo trovo disumano – spiega una dipendente di un negozio cittadino -. Bisogna iniziare a vedere il lavoratore non solo come tale, ma anche come persona. Persona che ha una vita sociale, una famiglia, dei figli con cui vuole passare del tempo libero, come tutti i comuni mortali fanno. Fare gite fuori porta, andare al mare o anche semplicemente fare un pranzo a casa. Non è giusto per quanto mi riguarda dovervi rinunciare per permettere ai negozi di stare aperti e a chi fortunatamente non lavora, di fare shopping. Si vanno a minare i rapporti familiari, a destabilizzare gli equilibri, non può essere altrimenti quando non permetti ad una famiglia di stare insieme a Pasqua, o a pranzo tutti insieme la domenica, o a festeggiare la sera della vigilia perché si deve lavorare fino a tardi. È una questione di rispetto. Si lavorerebbe meglio, meno stressati, meno arrabbiati e con più motivazione».

Le turnazioni

Eventualmente, continua la stessa lavoratrice, «se proprio non si vuole lasciare una città senza supermercati aperti per giornate intere, quanto meno si faccia a turno, come per le farmacie. Così da garantire a chiunque di trascorrere del tempo come meglio si crede. Com’è giusto che sia». Un’ipotesi, questa, che sembra comunque essere in linea con la proposta del ministro Di Maio, visto che anche lui parlato di «turnazioni». «Sarebbe più giusto – convengono altre due commesse di una catena di intimo di un centro commerciale alla prima periferia della città – che fosse consentita un’apertura al mese, magari ampliata nei periodi di maggiore afflusso come quello invernale, da novembre in poi. Negli altri non ha senso stare sempre aperti, anche se la gente gira non compra».

Niente business

Un altro punto che trova d’accordo i lavoratori, al di là delle problematiche relative alle proprie condizioni di lavoro, è proprio quello degli affari, che non sembrano affatto aver risentito in maniera positiva della liberalizzazione. «Capisco la comodità delle aperture domenicali, ma non credo che abbiano fatto impennare i consumi – spiega un commesso -. Ad oggi, l’incasso festivo è maggiore rispetto a quello relativo ai primi giorni settimanali, ma qualora le saracinesche rimangano abbassate, credo che potrebbe spalmarsi tranquillamente nei restanti giorni. Non credo nemmeno che le chiusure domenicali portino ad una diminuzione occupazionale, in quanto le ore lavorate vanno di pari passo agli incassi. Ho vissuto in prima persona domeniche estive o il 25 aprile, dove non girava un’anima, ma dato che il supermercato accanto era aperto, allora dovevamo esserlo anche noi. Pur sapendo che l’incasso sarebbe stato basso». E simili ragionamenti riguardano anche il fronte occupazionale. «Queste aperture selvagge – commenta un’altra lavoratrice del commercio di lungo corso e che rimpiange i tempi andati, ‘quando la domenica si stava a casa’ – non hanno portato più lavoro e le aziende non hanno assunto nessuno, anzi hanno sfruttato i loro dipendenti fino allo sfinimento». «Non c’è stato alcuna assunzione in più – confermano altre due commesse di una catena di accessori -, è vero che per un posto di lavoro si accetta tutto, ma a livello occupazionale non c’è stato alcun effetto».

Nessuna distinzione

Ragionamenti, questi, che sembrano valere per i negozi di abbigliamento e merce varia come per i supermercati. «Posso capire un’apertura di domenica mattina – dice un dipendente di una catena di alimentari – ma i pomeriggi me li ricordo bene e di gente se n’è sempre vista poco. Quindi un’eventuale legge mi vedrebbe favorevole». «Capisco che dal punto di vista dei consumatori chiudere i negozi la domenica sia una cosa negativa perché per chi lavora è una comodità, non potendo comprare durante la settimana – dice la commessa di un negozio del centro -. Ma per quanto riguarda chi lavora come me, sarebbe una cosa molto giusta invece quella di mettere delle regole perché ormai, essendoci la totale libertà, ognuno fa come vuole». «A volte – raccontano due dipendenti di un negozio di casalinghi – capita che salti il riposo settimanale, dipende dalle richieste: una situazione davvero pesante, se una domenica abbiamo qualche impegno dobbiamo metterci d’accordo settimane prima. E chi oggi viene la domenica troverà il tempo di venire anche gli altri giorni».

Titolare d’accordo

Ma non sono solo i dipendenti a vedere di buon occhio le legge annunciata da Di Maio. «Quello che si guadagna la domenica si perde negli altri altri giorni, ma in più abbiamo da sostenere le spese, esorbitanti, delle bollette – spiega uno dei due soci di un negozio che si trova all’interno di un centro commerciale che impone l’apertura domenicale a tutti gli esercizi -. Quindi il guadagno non c’è, in compenso non viviamo più, perché quando uno riesce a riposare, una domenica sì e l’altra no, l’altro deve fare 12 ore. Possiamo stare chiusi solo cinque giorni l’anno, a Natale, Santo Stefano, Pasqua, Pasquetta e Ferragosto. Per il resto si lavora sempre, ne risentono i rapporti familiari e non solo, anche la salute».

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