Pampepato, ecco la vera ricetta ternana

C’è il disciplinare, a giorni la richiesta di certificazione Igp da parte di 35 produttori. Svelato anche il marchio, intanto si moltiplicano le sperimentazioni

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di F.L.

Alzi la mano chi, tra i ternani, almeno una volta nella vita a Natale non ha partecipato ad una gara di pampepati. In famiglia, tra amici o tra colleghi, una sfida al dolce più buono vinta o persa, a secondo dei punti di vista, a colpi di ricette. Ora quella ‘perfetta’ esiste: frutta secca e candita, miele (rigorosamente millefiori), caffé, cacao, cioccolato, spezie, farina. Tra gli ingredienti opzionali, quindi a scelta, ci sono invece mosto cotto, pinoli e pure lo zucchero. Così, stando agli addetti ai lavori, è fatto il vero pampepato ternano, che aspira a diventare prodotto Igp.

Un pampepato

Svelati gli ingredienti

L’ufficialità sarà data a breve, ma secondo quanto trapela è proprio questa la lista degli ingredienti – tutti regolati da quantità ben precise – contenuta nel disciplinare di produzione redatto dal gruppo di lavoro che da tempo sta lavorando all’obiettivo del raggiungimento della certificazione di Indicazione geografica protetta per questo dolce tipico della tradizione ternana. Trentacinque produttori del territorio (e non solo del capoluogo, visto che vanno da Amelia a Ferentillo), grazie alla cabina di regia e al sostegno della Camera di commercio di Terni, hanno dato il via ad un percorso che a giorni vedrà il suo coronamento con il deposito in Regione della domanda di certificazione, che contiene anche il marchio creato ad hoc e che qui vi anticipiamo.

Giuliana Piandoro e Giuseppe Flamini

L’iter e gli obiettivi

Dopo le prime verifiche da parte degli uffici regionali, che avranno 60 giorni di tempo per portarle a termine, il faldone passerà sul tavolo del ministero delle Politiche agricole, infine verrà spedito all’Unione europea. Se tutto andrà come sperato sarà una bella soddisfazione per il ternano, visto che in Umbria, nonostante la vasta tradizione culinaria, non più di 4 o 5 prodotti possono vantare la certificazione Igp. «Una vetrina, quella europea – spiega il segretario generale dell’ente camerale, Giuliana Piandoro -, che potrebbe lanciare il pampepato verso nuovi traguardi, a partire dalla destagionalizzazione della produzione. Un fenomeno che è già iniziato, visto che alcuni produttori ci hanno riferito che quest’anno, per la prima volta, non l’hanno mai interrotta, grazie anche alla presenza dei loro dolci in alcune città turistiche dell’Umbria».

Pampepato a tavola

Benefici e sperimentazioni

La certificazione porterebbe anche altri vantaggi per i produttori (un po’ meno per i consumatori): il primo sarà l’inevitabile aumento del costo del prodotto, che quindi comporterà maggiore marginalità per chi lo commercializza. Il trend di vendita, in base ad un’indagine di Coldiretti nazionale in materia di Igp, sarà anche questo in crescita, soprattutto grazie al turismo straniero, per il quale i prodotti alimentari rappresentano ormai il principale souvenir da riportare a casa come ricordo di viaggio nel Belpaese. Intanto, in attesa del responso, in un’ottica di sviluppo e promozione i produttori si stanno dando da fare anche per seguire le nuove tendenze e sperimentare nuove formule legate al dolce più conosciuto di Terni: ne sono un esempio la possibile versione ‘gluten free’ oppure la commercializzazione come ‘superfood’ per gli sportivi, visto il suo alto valore nutrizionale. Su questo fronte ai prossimi campionati europeai paralimpici di scherma, che si terranno dal 17 settembre, verranno consegnati dei mini pampetati a forma di cioccolatino. È invece già in commercio anche un liquore al sapore di pampepato.

Alcuni cenni storici

«Il dossier redatto per la richiesta di certificazione – spiega la Piandoro – è frutto di un grande lavoro di squadra, un lavoro complesso e di mediazione che ha richiesto un’attività certosina anche di ricerca storica, oltre che socio-economica, una vera e propria tesi di laurea sul pampepato. Non è stato semplice prima di tutto perché il pampepato è un prodotto della tradizione popolare, la cui ricetta veniva inizialmente tramandata solo oralmente. Su questo fronte dobbiamo ringraziare il Comune di Narni che ci ha fornito una delle prime ricette codificate, risalente al 1840, ora conservata nella biblioteca comunale, a opera del marchese Giovanni Eroli, che la trascrisse seguendo quella delle monache del monastero di San Bernardino». Tra le prime ‘codificazioni’ – contenute nel dossier insieme ad alcune insegne pubblicitarie degli anni ’30 – anche quella del 1950 di Oreste del Vitto, che insieme a Pazzaglia fu tra i fondatori della scuola di pasticceria di Terni.

Chi partecipa

Trentacinque, come detto, i produttori che partecipano al progetto (presieduti da Ivana Fernetti), insieme alle associazioni di categoria – Confesercenti, che ha dato il là all’iniziativa, Confcommercio, Confartigianato e Coldiretti – e al Comune di Narni, mentre si attende l’adesione (annunciata) di quello di Terni. La convenzione verrà estesa anche all’istituto professionale Casagrande, in prima linea nell’opera di promozione del prodotto portata avanti grazie ai circa 5 mila pampepati sfornati ogni anno dai propri studenti. Infine un’ultima curiosità, spesso fonte di polemiche tra i ternani: panpepato o pampepato? Una diatriba che il nuovo logo creato dal gruppo di lavoro risolve con un intelligente escamotage grafico: una ‘m’ che, realizzata con un doppio colore, può essere letta anche come ‘n’. Così sono tutti d’accordo.

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