No, Serse Cosmi non andava trattato così

L’opinione – Ci sono dei casi in cui bisognerebbe tenere conto della storia umana e professionale delle persone, al di là dei numeri

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di Pietro Cuccaro

Lo sanno tutti: non sono un tifoso del Perugia. Ma pure io, che in questa città vivo da pochissimo e non ho vissuto quegli anni epici, percepisco che oggi, con l’esonero di Serse Cosmi, si è consumato un dramma umano, oltre che sportivo.

Pure io, che nemmeno ero in città quando Santopadre recuperò il Perugia dai bassifondi del calcio italiano fino a portarlo a un passo dalla serie A, ho la sensazione che si sia consumata una enorme mancanza di rispetto verso chi, per Perugia, è un totem e che per il Perugia avrebbe fatto (e in effetti ha fatto) qualsiasi sacrificio.

«Non si torna mai laddove si è stati felici», avevamo scritto nel dare la notizia dell’esonero.

E forse Cosmi, l’uomo del fiume, il rappresentante del popolo, il tifoso diventato allenatore, che della praticità aveva fatto la sua cifra stilistica e che aveva i piedi ben piantati nel terreno della saggezza popolare pure quando, con la sua testa coperta dall’immancabile cappellino, si affacciava alla finestra dei salotti buoni della serie A e della Coppa Uefa, forse anche lui lo aveva capito e aveva percepito il pericolo.

Lui, più degli altri, aveva tutto da perdere nel tornare a guidare il Perugia.

Ma come si fa a dire di no al cuore? Come si fa a non cogliere al volo un’occasione che tante volte sembrava potesse arrivare e mai si era palesata? Come si fa a dimenticare quei quattro anni che ti hanno lanciato nel mondo del calcio professionistico,macchiati da quell’epilogo infame (la retrocessione nell’incredibile spareggio contro la sesta di B nel 2004: caso unico, e ancora chiacchierato, nella storia del calcio moderno)? Come si fa a dire di no all’occasione che il destino ti presenta, di chiudere i conti con quel buco nel petto che rappresenta quella partita?

E così, Serse – come lo chiamano tutti a Perugia, per nome, pure chi non lo conosce di persona – disse di sì a Santopadre, presentandosi con lui in conferenza stampa per dimostrare al mondo, e innanzitutto a se stesso, che, alla fine, non c’erano preclusioni, che erano tutte chiacchiere, che nessuno lo considerava troppo ingombrante o inadatto per questa società.

Poi arrivò la morte di Luciano Gaucci, che sembrava un ulteriore tassello a comporre un mosaico perfetto, una nemesi, un ciclo che si chiude, un passaggio di testimone.

E arrivarono anche i primi risultati positivi, che, nella primissima fase, issarono il Grifo su fino al secondo posto, dopo la vittoria di Castellammare di Stabia («Una vittoria che non abbiamo capito», si è lasciato scappare qualche giorno fa Cosmi). Ma arrivarono pure le cinque sconfitte consecutive, a seguito di un mercato invernale unanimemente giudicato insoddisfacente, se non altro per la mancata ‘riconversione’ della rosa al nuovo modulo.

Quindi, dopo il ritiro, la vittoria contro la Salernitana e il lockdown, che restituì ai tifosi una squadra apparentemente più ‘sul pezzo’, grintosa, incisiva, che giocava meglio. La vittoria con l’Ascoli e il pareggio casalingo col Crotone confermarono la sensazione. Solo che a quel punto alcuni episodi sfortunati (definiamo così gli infortuni, ma pure certe decisioni arbitrali quantomeno discutibili e il comportamento altrettanto discutibile di alcuni calciatori che, facendosi espellere, hanno sguarnito la squadra in alcuni reparti chiave e in un momento decisivo della stagione) contro Cittadella e Pordenone hanno fatto perdere di nuovo la bussola, portando la squadra a un passo dallo strapiombo.

Chiariamolo: i numeri non sono con Cosmi. E se ci fosse stato chiunque altro al posto suo, questa scelta sarebbe ineccepibile, forse addirittura tardiva. Ma Serse no. Non se lo meritava. Non così. Non ora.

C’erano mille altri modi., c’erano stati mille altri momenti, per capire, insieme, che forse era meglio fermarsi. 

C’è stato invece un esonero senza cuore, senza appartenenza, senza memoria, che sono alcune delle componenti fondamentali del calcio (su cos’altro si fonda, del resto, la passione dei tifosi?) insieme alla competenza, alla razionalità e ai soldi.

E viene in mente un altro esonero ‘senza cuore’. Quello di Roberto Breda, poco più di due anni fa. Vengono in mente le sue lacrime al telefono, sulla strada verso casa: cacciato il giorno in cui raggiunse ufficialmente un obiettivo già da tempo ipotecato che invece in tanti avevano definito quasi impossibile il giorno del suo arrivo.

Ancor più perplessi lascia la scelta di far tornare Oddo. Non certo per le qualità del tecnico abruzzese, che aveva dimostrato ottimo calcio e aveva fatto punti, quanto perché dalla dirigenza era emerso che i suoi atteggiamenti e suoi giudizi sulla rosa non erano piaciuti né a Santopadre, tantomeno a Goretti.

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