Pubblicità a Terni, scontro sul canone unico: il Comune la spunta al Tar

Sentenza di merito ad oltre due anni dal deposito del ricorso: di mezzo le tariffe

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di S.F.

Canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria, nonché quello per l’occupazione delle aree e degli spazi appartenenti al demanio. A spuntarla al Tar Umbria è il Comune di Terni, difeso dall’avvocato Paolo Gennari: ad oltre due anni dal deposito del ricorso ecco la sentenza di merito sul ricorso della Wayap srl. Esito: inammissibile.

Comune Terni, resa dei conti al Tar per il canone unico patrimoniale

La contesa e la lievitazione del prelievo

La società – è impegnata nell’attività di progettazione e commercializzazione di servizi pubblicitari – aveva impugnata nel 2021 la delibera del consiglio comunale per la disciplina provvisoria di istituzione del canone unico, quella definitiva del 29 marzo, il regolamento, l’atto per l’approvazione delle tariffe/coefficienti moltiplicatori e ogni documento consequenziale. In primis l’avviso di pagamento inviata da Ica alla Wayap per il 2021. Bene, perché? Per varie, presunte illegittimità. Esempi? Una delle censure è per «l’estensione del prelievo da parte del Comune di Terni a strade provinciali e ‘di altri enti’ rientranti nel territorio comunale anche se poste al di fuori del centro abitato», oppure la «regolamentazione comunale laddove introduce parametri di determinazione delle tariffe e coefficienti moltiplicatori di esse per la determinazione del canone, correlati a parametri non previsti dalla fonte legislativa, che indica esclusivamente il criterio dimensionale della superficie del mezzo pubblicitario». Citato anche l’articolo 4 per eccesso di potere per travisamento di circostanze di fatto e di diritto. «In particolare, la parte ricorrente ha argomentato circa l’immediata lesività del regolamento comunale e dei successivi atti oggetto dell’impugnazione, in quanto introducono l’imposizione di un prelievo in capo al Comune, anche a prescindere dall’appartenenza comunale del bene su cui l’impianto è installato, e modulano le tariffe, con immediata ed esponenziale lievitazione del prelievo, sulla base di molteplici coefficienti moltiplicatori». Niente da fare per loro.

IL REGOLAMENTO APPROVATO NEL 2021

Inammissibile

In definitiva il problema è nell’aumento della tariffa: «Tale presupposto è, tuttavia, solo genericamente affermato – scrivono i magistrati amministrativi – nel ricorso e nei successivi scritti difensivi. In assenza di un raffronto con la situazione antecedente l’introduzione della nuova disciplina, la documentazione prodotta dalla parte ricorrente non risulta idonea a provare la lamentata (e non quantificata) ‘lievitazione’ del prelievo correlato all’attività imprenditoriale svolta dalla medesima società. Né può determinare l’attualità del pregiudizio la paventata eventualità che il tenore delle disposizioni consentirebbe al Comune di variare, senza alcun limite, le tariffe, ciò costituendo una mera ipotesi, assolutamente eventuale, comunque ben lontana dal costituire un pregiudizio attuale. Il pregiudizio prospettato dalla parte ricorrente risulta, quindi, privo dei caratteri della concretezza e dell’attualità. Ne discende che il ricorso deve essere considerato inammissibile per carenza di interesse in tutte le ipotesi in cui l’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo non sia in grado di arrecare alcun diretto e immediato vantaggio all’interesse sostanziale del ricorrente». Storia finita per ora.

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