Niente sblocco del rinnovo contrattuale scaduti sette anni fa e previsione di autunno ‘caldo’. Resta il problema in Umbria nell’ambito della vigilanza privata: sono 1.500 i lavoratori del territorio preoccupati. I sindacati sono chiari: «Paghe da fame, indegne di un paese civile». Si parla di circa cinque euro l’ora.
La problematica
«La sicurezza va pagata – hanno attaccato i sindacati lunedì mattina – e vanno pagati dignitosamente i lavoratori che la garantiscono. Ad oggi, invece, le paghe degli addetti della vigilanza privata e dei servizi fiduciari, circa 1.500 persone in Umbria, sono ‘da fame’, intorno ai 5 euro l’ora. Con l’impennata dei prezzi in atto, poi, la situazione rischia di degenerare ulteriormente. Per questo arrivare al più presto al rinnovo di un contratto nazionale scaduto da 7 anni è questione ‘vitale’ per i lavoratori e per i loro sindacati». Protagonisti Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil.
Mobilitazione
«Purtroppo – le parole di Vasco Cajarelli e Lucia Rossi per la Filcams Cgil, Simona Gola per la Fisascat Cisl e Massimiliano Ferrante per la Uiltucs Uil – dopo lo sciopero nazionale e la grande manifestazione del 2 maggio, la trattativa non è ancora ripresa. Le controparti hanno convocato un incontro per il prossimo 5 settembre, al quale arriveremo però con la mobilitazione, che partirà dal 30 agosto con il blocco degli straordinari» Chiamate in cause prefetture e ispettorato del lavoro «perché le condizioni imposte agli addetti del settore sono ormai insostenibili». Altro nodo cruciale, secondo i sindacati, è quello degli appalti. E qui è la Regione ad essere tirata in ballo: «Non è più rinviabile una legge che regoli questo settore, oggi in balia delle continue corse al ribasso dei costi perché altrimenti ad ogni passaggio di appalto i lavoratori sono posti sotto ricatto costante e vedono peggiorare ulteriormente la loro condizione. Lavoratori e lavoratrici che quotidianamente garantiscono la sicurezza privata e pubblica, come ampiamente dimostrato dal lodevole impegno espresso durante l’intera fase emergenziale sanitaria ancora non del tutto finita, spesso facendosi carico di compiti impropri in nome dell’interesse generale».