di Alice Tombesi
Dopo centocinquanta giorni lontano dalla moglie e dal figlio di due anni e mezzo, Giuliano ha potuto riabbracciare la sua famiglia. Una storia che va ad aggiungersi a quelle di altre coppie che, causa coronavirus, sono rimaste divise a lungo.
UMBRIAON – SPECIALE CORONAVIRUS
Mesi di attesa
Sua moglie, 43enne originaria della Repubblica Ceca, era partita con il figlio a fine gennaio per andare a trovare i parenti. Quando l’onda del coronavirus si è abbattuta sull’Italia, obbligando tutti a rimanere chiusi in casa, il rientro, previsto per metà febbraio, è slittato fino a giugno: «Fino a poco tempo fa, l’Austria e la Germania consentivano solo il transito senza alcun tipo di sosta – racconta Giuliano, che è di Terni ed ha 47 anni -. Era impossibile arrivare in macchina fino a Praga senza fermarsi neanche una volta. Dal 15 giugno era possibile pernottare e così, martedì scorso, io e un mio amico siamo partiti da Terni e siamo andati a prenderli».
Un abbraccio pieno di emozioni
Un giorno e mezzo di viaggio in macchina, attraversando l’Italia, l’Austria, la Germania dritti fino a Praga. Il tempo di un abbraccio con il figlio e la moglie dopo cinque mesi lontani e poi di nuovo verso casa, questa volta tutti insieme: «Anche se dopo il 15 giugno la Repubblica Ceca non chiedeva più il tampone, l’ufficio d’igiene e sanità di Terni è stato molto disponibile e, avendo capito che si trattava di un’emergenza, ha fatto fare il tampone sia a me che al mio amico che mi accompagnava». Sembra un salto indietro nel tempo, quando l’automobile era uno dei pochi mezzi per attraversare grandi distanze e l’aereo un’invenzione tanto fuori dagli schemi per poterla trasformare in realtà. E invece l’epidemia ha rotto alcuni schemi e messo sotto lente d’ingrandimento l’era globalizzata in cui viviamo, restituendoci il pregio di piccoli gesti, come un abbraccio dopo una lunga lontananza.