Terni: «Io cacciato, casa ridotta a rudere»

Marmore: lì ci ha vissuto per oltre 60 anni. Poi nel 2010 l’hanno mandato via. Oggi quella struttura cade a pezzi

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Quell’edificio, nel cuore di un’area a vocazione turistica, cade letteralmente a pezzi: «Ma se mi avessero consentito di continuare a vivere lì, anziché cacciarmi via quasi per dispetto, sicuramente oggi non ci troveremmo a questo punto».

Casa laghetto Marmore Campacci, Delfino Cosson 2Una vita A raccontare la storia di quell’edificio che sorge a Marmore, all’interno del parco Campacci, proprio di fronte al laghetto artificiale costruito dalla ‘Terni’ nel 1889, è il 66enne Delfino Cosson. Dire ‘personaggio’ è poco, e in effetti la sua storia intreccia affetti, proteste clamorose ai limiti della legalità, decisioni estreme. In un ‘tappeto’ di ricordi per i quali, evidentemente, vale la pena combattere.

VIDEO: PARLA DELFINO COSSON

La storia «Io sono nato lì – racconta – sotto quel tetto che le acciaierie avevano concesso ai miei genitori nel 1946, subito dopo la seconda guerra mondiale, quando di case dove vivere non ce n’erano. E per questo motivo lì, per diverso tempo, ci hanno vissuto anche tre famiglie contemporaneamente. Alla fine i miei genitori sono rimasti lì per anni, mia madre ben cinquanta fino al 1997, anno in cui è venuta purtroppo a mancare».

Casa laghetto Marmore Campacci, Delfino Cosson 1Cacciato Nel tempo Delfino Cosson ha tentato, attraverso un legale, di diventare proprietario di quell’abitazione attraverso l’usucapione: «Una storia finita male – dice – perché per l’avvocato era sempre tutto a posto, e anzi mi aveva suggerito di fare alcuni lavori di ristrutturazione. Invece nel 1998 mi è piombata addosso l’ordinanza di sfratto da parte di Ast. Motivata dal fatto che lì non poteva essere fatta alcuna manutenzione, né ordinaria né straordinaria. In pratica, secondo loro, dovevo aspettare che mi cadesse il tetto in testa».

Barricate Lì inizia una storia di resistenze, agli ufficiali giudiziari e alla stessa Ast, che fanno finire Delfino all’attenzione delle cronache locali e dei tribunali. Atti e proteste clamorose per non lasciare l’abitazione, che vanno avanti fino al 2010. Quando l’uomo si mette d’accordo con l’azienda e ottiene 20 mila euro a mo’ di risarcimento per chiudere la partita e andarsene. «Quella struttura faceva gola a molti – dice – perché è in una zona di pregio, turistica. Dove gira gente e quindi anche soldi».

Confessione Dopo lo sfratto, la vita di Delfino Cosson precipita. Si lascia con la moglie e prende una decisione clamorosa, specie per uno che un lavoro ce l’ha e che dal 2011 è pensionato: va a vivere nel suo camper. Quel mezzo diventa la sua nuova casa: «Perché l’ho fatto? Forse – si apre – inconsciamente chiedevo che il mio dramma fosse compreso da tutti. Perché, sulla base di interessi poi nemmeno concretizzati, hanno calpestato i miei ricordi e messo in mezzo a una strada, insieme ai miei figli. È stata solo una cattiveria che si sarebbero potuti risparmiare».

«Degrado inevitabile» E allora Delfino spiega perché oggi, se lì ci fosse ancora lui, forse la situazione non sarebbe quella denunciata dal consigliere comunale Sandro Piccinini: «Lì sta cadendo tutto a pezzi e allora uno si chiede perché ci hanno cacciato via così. Piccinini parla di un accordo fra Comune e Ast, perché quella struttura interessava a parecchi, privati ovviamente. Ed è sulla base di quell’intesa Comune-Ast che sono stato sbattuto fuori. Ma oggi, a quattro anni dallo sfratto, la realtà è quella di una struttura che è stata volontariamente abbandonata e lasciata morire. Se fossi rimasto lì, avrei potuto curarla e mantenerla. E oggi non saremmo di fronte a questo scempio, visibile a tutti. Purtroppo si è voluto fare altro, sulla pelle mia e dei miei familiari. Ma io non mollo».

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