Valnerina Ternana: «I lupi attaccano il bestiame anche in branchi da dieci». L’allarme di Cia Umbria

Ferentillo – La testimonianza di un allevatore di Macenano. L’associazione di categoria: «Indennizzi irrisori. Si rischiano effetti a catena»

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In Valnerina, ma non solo, è emergenza lupi ai danni ad attività agricole e zootecniche. «Il problema non è qualche lupo, come in passato, ma i branchi che attaccano con ferocia i nostri allevamenti dimezzandoli. I vitelli vengono accerchiati dal branco e feriti oppure sbranati vivi». La testimonianza è di Luigi Filipponi, allevatore di Cia Agricoltori dell’Umbria di Chianina a Macenano, nel comune di Ferentillo. L’aumento della popolazione dei lupi trova conferma anche dal primo monitoraggio nazionale del lupo (2020/2021) fatto da Ispra e che attesta a 3.300 la presenza di lupi in tutto il paese.

Il racconto

Come ogni anno, a giugno, fino all’inizio dell’inverno sono oltre trecento i capi di bestiame che vengono lasciati liberi di pascolare sul monte Aspra che fa parte dell’appennino umbro-marchigiano e che si trova in provincia di Terni. L’eccessiva presenza di lupi va a penalizzare gli allevamenti più virtuosi, ovvero quelli che hanno scelto il pascolo allo stato semi brado, salvaguardando l’ambiente e il benessere animale. «Ho 75 anni – racconta Filipponi – e in queste zone i lupi ci sono sempre stati, ma ora attaccano in branchi anche da dieci e rappresentano un pericolo diverso. Da giugno avrò perso una quindicina di vitelli, una sera, durante un controllo all’allevamento, ho avvistato un branco da più di cinque lupi».

Il grido di allarme

Negli ultimi cinque anni le medie annue di attacchi sono di 113 denunce e 157 mila euro di danni prodotti, con dati in crescita nel 2022. Analizzando l’andamento dei danni dal 2003 al 2022, secondo i dati della Regione Umbria, sulla base delle denunce emerge un evidente picco nel 2014 con 401 denunce e 351 mila euro di danno accertato rispetto all’andamento medio dell’intero periodo, con 176 denunce per un danno accertato di 177 mila euro. E poi c’è la profonda crisi che sta attraversando la carne di Chianina, richiesta ed apprezzata in tutto il mondo, tra l’aumento dei costi di produzione e la diminuzione del prezzo sul mercato. «Un esempio dei prezzi? Nel 2022 ho venduto vitelli per 1.800 euro, quest’anno a mille euro – conclude Filipponi -. Gli indennizzi per gli attacchi dei lupi sono irrisori rispetto alla reale perdita che subiamo, sia nell’immediato che nel prosieguo delle attività già messa alla prova da costi di produzione crescenti. La Regione non ci riconosce alcun risarcimento se l’animale, come spesso accade durante un attacco di predatori quando non ritroviamo i resti, risulta disperso. In queste condizioni non andremo avanti ancora per molto e saremo costretti a mollare».

Rischio effetto a catena

Dei problemi del settore parla Mario Illuminati membro del comitato esecutivo Cia Umbria e responsabile regionale per la zootecnia. «Le predazioni dei lupi, oramai fenomeno diffuso in tutta la regione, sono solo la goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo. Nella maggior parte dei casi il solo risarcimento, irrisorio rispetto ai danni provocati che sono difficilmente quantificabili, non può essere l’unica soluzione. Su tutto il territorio regionale esistono, inoltre, realtà imprenditoriali virtuose che danno un prodotto interamente allevato e nutrito all’interno della stessa azienda dove si coltivano cereali, mais o fieno per poi fare mangimi da destinare all’allevamento e che si ritrovano con danni causati dai cinghiali. Le stime diffuse sia del numero degli animali selvatici sia dei danni – prosegue Illuminati – probabilmente non corrispondono alla realtà e c’è sicuramente un incrocio tra il lupo e il cane che porta ad aver meno paura dell’uomo. Serve che l’uomo riprenda il controllo del selvatico e che gli allevatori e agricoltori vengano coinvolti nelle decisioni e nelle organizzazioni delle misure da mettere in campo». Il dirigente Cia Umbria sottolinea poi il fattore dei rincari dei costi energetici a cui si è aggiunto anche quello dei mangimi: «Criticità che non trovano risposte da chi governa e che oramai rendono difficile, se non impossibile, tenere in vita un settore che non è solo un conto economico, ma anche la fotografia del vivere bene in Umbria. Se la zootecnia venisse a rischio c’è lo spopolamento di queste aree interne e della montagna presidiate dagli allevatori, con il conseguente imbruttimento dell’ambiente naturale che si ripercuoterebbe, poi, anche sui flussi turistici».

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