‘Partecipate’, una sfida che va accettata

L’Asm in potenza è un’impresa con serie prospettive di sviluppo, ma il treno va preso

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di Walter Patalocco

In Comune, la chiamano ‘razionalizzazione’ delle imprese partecipate. Ma c’è chi drizza le antenne e paventa che dietro definizioni che sembrano innocue si possano nascondere pericoli.

Accade alle Rsu, le rappresentanze sindacali unitarie, di Asm che, tra le partecipate del Comune di Terni, è senz’altro la più ‘preziosa’ sia per la materia trattata – l’energia– che per il ‘ritorno’ in euro, soldi che vanno a finire nelle casse comunali dopo essere usciti dalle tasche dei cittadini fruitori dei servizi.

Le Rsu di Asm, sono saltate sopra le barricate, attaccando il Comune «che mette costantemente in difficoltà il buon funzionamento dell’azienda… non pagando regolarmente le spettanze relative al servizio di igiene ambientale – spiegano le Rsu – si tratta di oltre 10 milioni di euro di arretrati». Non bastasse, adesso «con scelta assolutamente non condivisa da questa rappresentanza sindacale – dicono – il Comune intende vendere una fetta cospicua della sua più prestigiosa controllata. Con quali scopi? Forse per buttare nel buco nero dei bilanci comunali qualche milione di euro per poi ritrovarci l’anno prossimo con gli stessi problemi di bilancio, ma avendo nel frattempo privato i cittadini di Terni di una parte della loro azienda».

Fermi tutti, insomma. Non si tocchi niente, non si faccia alcunché, tutto sia conservato com’è. Le Rsu chiedono infatti di «fermarci tutti a riflettere prima di compiere scelte avventate». Il fatto è, però, che contrariamente a quel che auspicano le Rsu, qualcosa va fatto per forza. Lo pretendono quelle poche norme della spending review ‘Cotarelli’ cui si è data applicazione.

Ce ne sono alcune che rispondono direttamente ad un minimo di buon senso comune. Chi può non essere d’accordo sull’eliminazione dei doppioni? Sulla cancellazione di società il cui unico capitale sono gli amministratori? Sull’uscita dell’ente pubblico da partecipazioni così piccole da risultare inutili? Non va fatta una razionalizzazione del genere?

Per esempio: non è ora di mettere una croce sopra Atc (trasporti) e derivate in liquidazione? La partecipazione nel centro intermodale di Orte non fa a pugni con quella piattaforma logistica in costruzione a Maratta? Tutto è parte di un unico blocco. Se ci si ferma per ‘riflettere’ su Asm, tutto resterà fermo, con effetti ovviamente dannosi.

Forse è per questo che sulla materia sono scese in campo le segreterie dei sindacati Cgil, Cisl e Uil, ‘correggendo’ la posizione barricadera delle Rsu Asm ferma a valutazioni che non escono dal recinto della sede di Maratta. Le segreterie sindacali chiedono di essere partecipi delle decisioni e si dichiarano disponibili a dare il loro contributo «in maniera costruttiva ai percorsi che si verranno a creare», visto che – spiegano – si parla di servizi di un consistente valore strategico e che vanno comunque tutelati i lavoratori ed i cittadini. Ad esser buoni, è una bella tirata d’orecchie alle Rsu.

Certo, la situazione Asm è la più importante. Nel 2013 dall’Asm sono finiti nelle casse comunali 866.476 euro, che non sono un calcio negli stinchi, seppur non si tratti di cifre da scoppiare per la soddisfazione. Basta considerare che nel 1999 l’Asm girò al Comune un miliardo e mezzo di lire, e già c’era da storcere la bocca, se non altro perché la fine del millennio scorso coincise con una particolare vivacità delle municipalizzate italiane. Alcune divennero società per azioni avviandosi nel contempo, e con decisione, verso una struttura pluriservizi.

L’Acsm di Como, ad esempio, con fatturato pari a quello di Asm e dimensioni fisiche molto simili, ottenne così un utile di sette miliardi e mezzo. L’Asm si è messa in moto in ritardo sul fronte della pluralità dei servizi, e solo ora – nel 2015 – si avanza l’ipotesi quotazione in borsa, nel mercato Aim delle piccole e medie imprese.

Sempre per regolarsi: nel 1999 Asm Terni aveva trecento dipendenti e 80 miliardi di fatturato; nel 2013 il fatturato è stato di circa 55 milioni e i dipendenti sempre trecento. Un’Asm che non è cresciuta, pur essendosi trasformata ed attrezzata. Ha dovuto, però, recuperare il ritardo.

Ora è di nuovo lì: in potenza è un’impresa con serie prospettive di sviluppo. Stavolta il treno va preso, non si può star fermi a riflettere.

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