Codice rosa ‘a vuoto’: «Solo un caso. Qui diamo il massimo»

Terni, il direttore del pronto soccorso Parisi torna sul caso della donna morsa dal marito: «Mancanza episodica. Nostro impegno non è in discussione. Avremmo preferito parlare»

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Torna alla ribalta il caso della 46enne ternana morsa ad una mano dal marito, avvocato di 50 anni, denunciato dalla stessa all’Arma dei carabinieri. Quando si è recata in ospedale, al ‘Santa Maria’ di Terni, per farsi refertare, la donna è rimasta per cinque ore in pronto soccorso, senza che venisse applicato nei suoi confronti il ‘codice rosa’, ovvero quell’insieme di procedure previste per le vittime di violenze di genere. Sull’accaduto l’azienda ospedaliera ‘Santa Maria’ ed i suoi professionisti replicano puntualmente, senza evitare la polemica.

«Ci scusiamo»

«La direzione dell’azienda ospedaliera di Terni e il direttore del pronto soccorso – si legge nella nota – comunicano che per una serie di circostanze che sono state prontamente analizzate e che sono legate ad un’alta concentrazione di accessi e di codici rossi, nel giorno in cui si è verificato l’episodio, la procedura del ‘codice rosa’ non è stata rispettata in modo conforme; per questo si scusano con la donna che ha subito il disagio, annunciando che è stato immediatamente rianalizzato il caso per apportare i necessari miglioramenti del percorso di assistenza protetta (in riferimento a sede di attesa e tempistica) per coloro che vengono individuati dal triage come ‘codice rosa’».

Giorgio Parisi

I numeri, l’impegno, i risultati

Il direttore del pronto soccorso di Terni, Giorgio Parisi, tiene a sottolineare l’eccezionalità del caso nell’ambito di una struttura che gestisce circa 44 mila accessi all’anno, 120 circa quel giorno e con codici rossi contemporanei: «Di fatto gestiamo da anni con attenzione e sensibilità i codici rosa sospetti e dichiarati. Nel 2018 abbiamo gestito 63 codici rosa dichiarati, nel 2019 da gennaio ad oggi 17, uno anche sabato 16 marzo con primo accesso alle ore 10.47 e visita alle 11.02. I tempi di visita sono normalmente rapidi, con priorità di accesso nell’ambito del codice-colore che viene assegnato. Abbiamo un ambulatorio all’interno del blocco del pronto soccorso che, in casi selezionati, ci consente di dare una risposta adeguata anche dal punto di vista umano in un ambiente più protetto. Inoltre all’interno dell’Obi (osservazione breve intensiva, ndR) è attiva una stanza di osservazione, isolata dalla restante utenza, che può diventare anche una camera in cui la donna vittima di violenza, come più volte avvenuto, può restare in osservazione insieme ad eventuali figli».

«Caso del tutto isolato»

«In base ad una procedura condivisa, contestualmente all’assistenza sanitaria – prosegue Parisi – sulla scorta delle circostanze ed esigenze espresse dalle pazienti al momento della visita, le facciamo subito mettere in contatto telefonico con il Centro anti violenza (Cav) di Terni ‘Liberetutte’; spesso questo colloquio non viene da tutte accettato. Talvolta offriamo una consulenza psicologica e cerchiamo di dare sempre risposte personalizzate, assumendocene tutte le responsabilità, perché non esistono pacchetti preconfezionati (sono 19 anni che ci occupiamo di questo argomento, ogni caso è diverso da un altro, ogni donna è diversa da un’altra). Ultimamente abbiamo ospitato una giovane mamma con la sua bambina nella suddetta stanza in osservazione breve, approntando un lettino per la bimba e comprandole personalmente un giocattolo. Le operatrici del CAV sono al corrente che mi sono reso disponibile ad accompagnare anche personalmente, se necessario, donne e figli al centro anti violenza; abbiamo visto il responsabile dell’Obi rientrare in ospedale nel pomeriggio per gestire una paziente e per aiutare la figlia di lei a fare i compiti e poiché conosco l’impegno e l’attenzione che dedichiamo a questi casi, anche in presenza contemporanea di criticità ed emergenze, mi sento di dire che l’episodio riportato alla e dalla stampa, è un caso isolato e non uno standard».

La polemica

«È anche per questo – conclude il primario del pronto soccorso del ‘Santa Maria’ – che come direttore responsabile della struttura, avrei preferito essere contattato direttamente o attraverso l’ufficio relazioni con il pubblico, per poter fornire, come altre volte è successo, le opportune spiegazioni e le eventuali dovute scuse a nome personale, dello staff che dirigo e dell’azienda che rappresento. Non tutto ciò che non sembra funzionare o che non funziona merita di essere dato in pasto alla stampa nella forma dello scandalo. È un atteggiamento purtroppo sempre più diffuso che non è costruttivo, scredita l’impegno di tanti e genera inutile allarme sociale».

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