«La mafia è in Umbria come in tutta Italia»

Per il vicepresidente della commissione antimafia, il senatore Luigi Gaetti, «è l’inerzia culturale a creare un sistema di mala gestione della cosa pubblica»

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di Lucina Paternesi

Non è il primo medico ad occuparsi di mafia. Luigi Gaetti, mantovano classe 1959, anatomopatologo e vicepresidente della commissione antimafia come senatore del Movimento 5 Stelle, parte proprio dalla citazione di un altro medico famoso, quel Leonardo Sciascia che, prima di lui, aveva rimproverato il ministro dell’interno Rognoni. Alla mafia bisogna guardare come un fatto patologico e chi, meglio di un medico, può farlo? Presente a Terni al convegno organizzato dall’Unione sindacale di base sui temi del lavoro, dei servizi e dei rifiuti, umbriaOn ha chiesto al vicepresidente dell’Antimafia di tracciare un quadro della situazione a Perugia e, più in generale, in Umbria, dopo la ricognizione che tutta la commissione ha fatto lo scorso gennaio.

L’INTERVISTA A LUIGI GAETTI – IL VIDEO

La presidente Bindi con il vicepresidente Gaetti a Perugia lo scorso gennaio

La presidente Bindi con il vicepresidente Gaetti a Perugia lo scorso gennaio

Senatore che cosa è emerso dalla vostra visita? «Abbiamo fatto una disamina abbastanza ampia delle criticità a Perugia, dal problema della droga, con i numerosi morti per overdose, al gioco d’azzardo e alla prostituzione. E poi, ovviamente, tutta la questione rifiuti però sempre in un’ottica che riguardava la gestione delle grandi organizzazioni criminali e mafiose sul territorio».

C’è la mafia in Umbria? «La mafia è in Umbria com’è arrivata, ormai, in tutte le regioni italiane. Sta cambiando pelle, a Perugia non c’è il controllo del territorio come nelle regioni di appartenenza del mezzogiorno ad esempio. Ma si manifesta come politica clientelare, gestione degli affari e con il rapporto della società dei colletti bianchi. Tutti questi intrecci sono realizzabili solo attraverso fior fior di commercialisti e notai per far funzionare il sistema. E questo si può chiamare mafia, questa è la mafia».

Qui, però, le istituzioni non vengono coinvolte nelle inchieste. «Il fatto che nessun rappresentante delle istituzioni, nessun uomo politico locale sia mai stato coinvolto in inchieste non significa niente. Ci sono due livelli diversi, da un lato c’è un problema nella giustizia ma poi nell’ambito della politica e delle istituzioni c’è un problema etico e culturale perché se magari non viene consumato un reato comunque non si sta perseguendo il bene della comunità. Faccio un esempio, un amministratore pubblico che vende un bene a un prezzo irrisorio, magari non si può configurare il reato di corruzione perché non si riesce a dimostrare che c’è stato scambio di denaro o altra utilità, però rimane il fatto che un bene pubblico viene ceduto a un prezzo di favore a non si sa chi e la magistratura non può intervenire. Un politico che non viene incriminato, non è sempre per forza un buon politico».

L’interdittiva antimafia a Gesenu è stato come un fulmine a ciel sereno. «Non ho ancora letto la sentenza del Tar, ma accolgo con favore la notizia della conferma dell’interdittiva antimafia. Il provvedimento nasce da un disegno molto ampio che è partito dalla Sicilia ed è passato per le aziende gestite da Cerroni, collegandosi con Terni e Viterbo e con alcune aziende che sono finite nell’inchiesta Mafia Capitale a Roma. Uno scenario ampissimo e organico che fotografa una situazione da attenzionare. Quello è un sistema sbagliato, se vogliamo risolvere il problema dei rifiuti bisogna optare un per un sistema in house dei comuni, come alcuni esempi virtuosi dimostrano in Italia. Nei consorzi come quello di Treviso la tariffa è di 110 a persona, a Milano o a Roma più di 200 euro. E’ un mondo completamente da cambiare, non siamo in presenza di reati ma, piuttosto, la definirei un’inerzia culturale».

Che significa? «Questa è una locuzione che ho preso in prestito dal procuratore della Repubblica di Perugia Luigi De Ficchy ascoltato in audizione durante la nostra visita nel capoluogo umbro. Ci sono dei comportamenti che anche se non hanno una rilevanza penale, ne hanno di certo dal punto di vista etico e amministrativo. Ad esempio, oggi, la letteratura scientifica è certa, al di là di ogni ragionevole dubbio, che gli inceneritori fanno male. Perché, allora, un politico dovrebbe sostenere la loro realizzazione e il loro insediamento sul territorio? Questo ovviamente non è un reato penale, ma un’inerzia culturale perché ci sono degli esempi virtuosi che non sempre vengono seguiti. Serve, allora, più impegno da parte della società civile».

Che cosa può fare la società civile? «Deve cambiare atteggiamento, in primis, facendo una raccolta differenziata puntuale, preferendo la mobilità alternativa. Servono maggiori sacrifici per tutelare l’ambiente e la salute umana, ma sono necessari e vanno a beneficio di tutti».

Sì, ma se il ciclo dei rifiuti in Umbria non è così virtuoso, le responsabilità non possono essere solo dei cittadini. «No, certo. Si può vivere con pochissime discariche e senza inceneritori, perché oggi nei comuni del consorzio Contarina la raccolta differenziata supera l’85% e ciò significa che nelle discariche viene conferito solo il 15% dei rifiuti. Mentre con gli inceneritori, oltre al danno ambientale e per la salute in sé, si aggiunge quello di dover smaltire le ceneri in discarica, tra cui quel 5% che rimangono nei filtri e che sono pericolosissime per l’uomo, con una raccolta differenziata spinta si può limitare il danno ambientale a tutto vantaggio per il benessere dell’uomo. Oggi nel nord Europa, che 20 anni fa era all’avanguardia nel bruciare i rifiuti, gli inceneritori vengono chiusi ovunque. In Germania, ad esempio, si fa la raccolta differenziata del vetro per colore. Queste sono cose note a tutti, anche qui in Italia».

Perché allora la politica non si muove di conseguenza? «Il ragionamento ‘politico’ è il seguente, un po’ in tutti i settori. Faccio l’esempio dell’alimentazione: al supermercato possiamo trovare il cibo spazzatura oltre che verdure di stagione, prodotti biologici e a km zero e la scelta di che cosa acquistare sta al singolo cittadino. Così succede nel settore dei rifiuti poi, però, se la differenziata non basta e le discariche si riempiono si ricorre agli inceneritori. Il paradigma è capovolto, le istituzioni mettono i cittadini nella condizione di scegliere scaricando poi tutte le responsabilità sulla cittadinanza. La responsabilità, invece, di una cattiva gestione come dei costi, sono tutte in carico alle amministrazioni che, su questo, devono lavorare. E su cui i cittadini devono informarsi per far rispettare i loro diritti».

 

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