Perugia, smantellata cellula terroristica

Vasta operazione della polizia di Stato che ha arrestato quattro persone: tre tunisini e un marocchino

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Facevano propaganda al cosiddetto Stato islamico, spingevano all’indottrinamento e istigavano al metodo violento. Una cellula terroristica è stata smantellata dalla polizia di Perugia attraverso l’operazione denominata ‘Da’Wa’: quattro gli arresti, tutti riguardanti persone che orbitavano fra Milano e la Germania. «Oggi che piangiamo i morti di Londra – ha detto il procuratore generale presso il tribunale di Perugia, Luigi De Ficchy – particolarmente importante è la prevenzione dei fenomeni, per evitare il verificarsi di fatti ancora più dolorosi».

In manette Gli arrestati – ai quali gli agenti sono arrivati a partire da un altro maghrebino tenuto sotto osservazione a Perugia – sono tre tunisini, di cui uno attualmente detenuto in carcere a Milano, e un marocchino. Uno di loro si era trasferito stabilmente in Germania. Le ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip di Perugia, su richiesta della procura presso la Direzione distrettuale antimafia, sono state eseguite mercoledì da personale della Polizia Postale di Perugia, coadiuvati dai colleghi della questura di Milano.

PARLA IL PROCURATORE DE FICCHY – L’INTERVISTA

Le indagini Eseguite anche due perquisizioni a carico di altrettanti extracomunitari di provenienza tunisina e algerina. Il terzo indagato invece, il tunisino regolarmente residente a Perugia da cui sono partite le indagini, è ancora irreperibile e probabilmente non si trova in Italia. A tutti è stata contestata l’istigazione a delinquere con l’aggravante di aver commesso il fatto attraverso l’uso del mezzo informatico con finalità di terrorismo. «Gli indagati – riferisce la questura di Perugia – attraverso centinaia di post contenenti scritti, foto e video, hanno manifestato un’espressa condivisione dell’ideologia fondamentalista delle frange estreme dell’islamismo, nonché delle azioni armate delle milizie appartenenti al cosiddetto Stato Islamico e di attentati terroristici di matrice jihadista». L’attività, come ha spiegato il questore Francesco Messina, ha coinvolto vari comparti della Polizia, «dall’attività di prevenzione tradizionale  ad una parte esecutiva più complessa con il supporto e la collaborazione della Digos di Milano e vari uffici della Lombardia».

‘Collegati’ con l’Italia L’indagine, partita nel secondo semestre del 2015 dal monitoraggio della rete web da parte del compartimento della Polizia Postale di Perugia, ha portato a scovare alcuni account Facebook i cui titolari apparivano collegati con l’Italia. Una circostanza successivamente confermata grazie all’analisi dei files di log dei profili che, tramite ulteriori accertamenti tecnici, ha consentito sia l’identificazione degli utilizzatori che la loro localizzazione sul territorio nazionale, in particolare a Milano. «Si tratta di personaggi che sul web inneggiavano alla jihad, alla guerra santa, al martirio con l’intenzione di entrare nelle coscienze dei loro contatti e farli avvicinare alla jihad – ha spiegato il procuratore De Ficchy – La minaccia è fluida rispetto al terrorismo tradizionale e si muove in ambiti nuovi: il terrorismo ora si diffonde tramite due canali, la radicalizzazione in carcere e il web. Spesso la rete si dipana attraverso mezzi di comunicazione privati e per controllarli non bastano i mezzi classici, ma serve una specializzazione particolare».

Le intercettazioni In alcuni casi è stato accertato che gli indagati usavano più profili Facebook e che quasi sempre le connessioni avvenivano agganciandosi a reti wireless che ne assicuravano l’anonimato. Ad eccezione di un cittadino tunisino, regolare in Italia e che svolgeva saltuaria attività lavorativa come pizzaiolo, tutti gli altri indagati sono risultati irregolari, senza fissa dimora e dediti allo spaccio di sostanze stupefacenti. Dalle attività di intercettazione telefonica e telematica, oltre che da quelle tradizionali di polizia giudiziaria, è emerso che nel corso del tempo i soggetti utilizzavano più profili Facebook, modificando le modalità di accesso personali passando da modalità pubblica a modalità ‘visibile solo agli amici’. «Queste persone – ha detto il vice questore aggiunto Annalisa Lillini, responsabile delle investigazioni – si muovevano sul territorio dormendo dove capitava e con compagne occasionali, ma la loro rete, che andava da Perugia a Milano, si basava soprattutto su Facebook, dove ognuno di loro aveva almeno 500 amici».

«Fermarli prima di azioni concrete» I membri delle due cellule – che da quanto emerge non frequentavano moschee e non avevano precedenti per terrorismo, ma solo per spaccio di stupefacenti – presumibilmente non avevano preparato alcun attacco. «Non esistono elementi che fanno pensare ad un attacco imminente – ha spiegato la dottoressa Lillini – ma sui social, il giorno dopo gli attacchi in giro per l’Europa, li commentavano». Il passaggio a fatti concreti, secondo il procuratore De Ficchy, «è sempre difficilissimo da prevedere, ma bisogna intervenire quando si ha la prova che la propaganda ha raggiunto un grande numero di soggetti, ognuno dei quali a propria volta si può mettere in moto per azioni violente». Per Messina, nell’azione di Daesh ci sono due profili: i foreign fighters ed i lupi solitari. «La nostra azione – ha detto – è volta proprio a limitare il fenomeno dei lupi solitari, fermando la radicalizzazione via web prima ancora che vengano progettate azioni concrete».

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