San Valentino: «La cultura non elimini Dio»

Per l’occasione è tornato in città monsignor Ernesto Vecchi: il testo della sua omelia

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di Francesca Torricelli

Una basilica di San Valentino gremita, sabato mattina, per il solenne pontificale in occasione delle celebrazioni in onore del patrono della città, presieduto da monsignor Ernesto Vecchi, vescovo ausiliare emerito di Bologna e già amministratore apostolico della Diocesi Terni Narni Amelia; alla presenza del vescovo Giuseppe Piemontese, dei sacerdoti della diocesi e delle autorità civili e militari di Terni e dell’Umbria.

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Monsignor Giuseppe Piemontese

Monsignor Giuseppe Piemontese

Il vescovo Monsignor Giuseppe Piemontese, in occasione delle celebrazioni, ha inviato questo messaggio: «San Valentino ha plasmato cristianamente la città di Terni durante il suo lungo ministero episcopale, durato, secondo la tradizione, ben 76 anni. Egli vescovo, padre fondatore della comunità cristiana, testimone di Cristo e martire della fede e della carità, è speciale patrono di quanti sono legati dalla dolcezza e dal fuoco dell’amore. Dalla città di Terni, ancora oggi, parte il messaggio di San Valentino: l’amore vero, fedele ed eterno è possibile anche ai nostri giorni se non ci si lascia fuorviare dall’effimero, dalla cultura consumistica e viene alimentato e protetto quotidianamente dall’umiltà, dalla fede in Dio, dalla preghiera costante, dalla pazienza e dal continuo perdono. Formulo l’auspicio che San Valentino, vescovo e martire di carità, continui a proteggere e a salvare questa città, oggi in festa per il suo patrono, ma anche in ansia per il futuro sociale, civile e religioso dei suoi figli. Il Santo faccia crescere tutti nella solidarietà e carità e doni agli innamorati, giovani e meno giovani, la capacità di scoprire, gustare e custodire la gioia di un amore vero, fedele ed eterno».

VIDEO: MONSIGNOR VECCHI

Piemontese e Vecchi L’attuale vescovo e il sio predecessore si conoscono da lunga data: «Lui per me è un fratello ed ha già capito – dice monsignor Ernesto Vecchi con un sorriso sornione – tutti i poblemi che ci sono nella diocesi e vedrete che li risolverà in fretta».

VIDEO: MONSIGNOR PIEMONTESE

Il corsivo Il giorno dedicato al patrono della città, che umbriaon.it ha scelto non a caso per la propria pubblicazione in rete, è anche occasione di riflessione di carattere sociologico e per questo il primo intervento – nella rubrica Il corsivo – del giornalista Walter Patalocco, che da oggi collabora in esclusiva per l’online con il nostro quotidiano, è dedicato proprio al ‘metodo’ che venne utilizzato per la scelta di san Valentino come patrono. Una lezione ancora oggi attuale.

Monsignor Piemontese e monsignor Vecchi

Monsignor Piemontese e monsignor Vecchi

L’omelia Ecco il testo dell’omelia di monsignor Ernesto Vecchi: «Sono grato al Signore per avermi concesso, ancora una volta, la grazia di partecipare alle celebrazioni in onore di San Valentino. Sono tre anni consecutivi, che mi è offerta l’opportunità di riflettere sulla figura emblematica di questo Santo Martire e di pregare sulle sue reliquie. Ringrazio il vescovo, Sua Eccellenza Monsignor Giuseppe Piemontese, per avermi invitato a presiedere questa concelebrazione, che, nel Sacramento dell’Eucaristia, ci dona la possibilità di attingere alla sorgente primaria della comunione ecclesiale e della buona convivenza civile. In tale contesto, saluto e abbraccio i Sacerdoti, che porto nel cuore e che raccomando ogni giorno al Signore, perché renda fecondo il loro ministero.
Sono riconoscente a tutte le Autorità, che con la loro presenza avvalorano lo spessore civico del Santo Patrono, referente indispensabile per ravvivare l’identità di una città. In tale prospettiva, la Festa patronale rinnova il patto di cittadinanza tra le istituzioni e il tessuto sociale, a servizio del bene comune. L’analisi storica e antropologica della nostra identità culturale ci dice che i Santi Patroni intersecano i bisogni più veri e profondi dei singoli e della collettività: entrano, di fatto, nella trama della storia locale, dove religiosità e senso di appartenenza civica si compenetrano, fino a cogliere nel Santo Patrono l’emblema che più incarna le attese profonde del sentire popolare. A suggello di questa persuasione, Terni, un anno fa, ha lodevolmente eretto un monumento statuario a San Valentino, nel cuore del tessuto urbano.

Il sagrato della basilica

Il sagrato della basilica

Ogni anno, la festa liturgica del Patrono offre l’opportunità di mettere a fuoco la vera identità di questo Santo Pastore. Dalla Passio Sancti Valentini (V secolo), che gli studiosi più accreditati ritengono degna di fede, sappiamo che San Valentino fu Vescovo di Terni e delle comunità cristiane della Valle del Nera nel III secolo. Il suo lungo episcopato fu contrassegnato da una vita santa, da un ardente zelo pastorale e da tanti miracoli. Durante la persecuzione dell’Imperatore Aureliano, mentre annunciava il Vangelo dell’Amore, in odio alla fede, fu decapitato sulla via Flaminia, il 14 febbraio 273. Le sue reliquie sono custodite e venerate sotto l’altare di questo Santuario. A Lui possono essere applicate alla lettera le parole del Vangelo di Giovanni: «Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre e do la mia vita per le pecore».
La vera devozione a San Valentino, dunque, vede in Lui anzitutto l’icona sacramentale di Cristo Capo, Pastore e Sposo, modello di ogni martirio, il campione del dono di sé, il testimone dell’amore verso Dio e il prossimo, vissuto nella concretezza dei rapporti umani, tra i quali occupa un posto preminente il rapporto affettivo tra l’uomo e la donna. Pertanto, il pluriforme e planetario movimento devozionale valentianiano, pur con tutte le sue ambiguità, complicità e fraintendimenti, non è nato dal nulla; così le tante leggende che coinvolgono il Santo Vescovo come protettore dei fidanzati, pur non potendo sempre esibire la certificazione storica, hanno però un comune fondamento teologico: l’annuncio valentiniano dell’amore sponsale di Cristo e della Chiesa, inscritto nell’evento dell’Incarnazione del Figlio di Dio.

La processione

La processione

Infatti, l’Incarnazione – che stabilisce il principio divino-umano come struttura originaria dell’avvenimento cristiano – è la premessa, il fondamento e l’iniziale realizzazione dell’evento ecclesiale, che è anch’esso un mistero sponsale, il mistero di Cristo che ama la Chiesa, e ha dato se stesso per lei, come scrive San Paolo, il quale mette questo mistero a fondamento del rapporto tra marito e moglie. «Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!». In tale prospettiva, si coglie il senso profondo di ciò che dice il Vangelo di Matteo: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio.
Pertanto, la distinzione tra l’uomo e la donna, non è un optional, ma una «vocazione» a entrare in complementarietà nel gioco ineffabile della vita come Dio l’ha pensata, cioè «a sua immagine e somiglianza»: l’uomo e la donna, nel loro «essere-uomo» ed «essere-donna», riflettono la sapienza e la bontà del Creatore. Ma oggi, come ai tempi del profeta Geremia e di San Paolo – che abbiamo ascoltato nella prima e seconda lettura – c’è chi rema contro. In occidente, la macchina del consenso mediatico e culturale funziona a pieno regime, e porta gradualmente l’uomo e la donna a perdere la coscienza della verità originaria, inscritta nella loro mascolinità e femminilità. Avanza così un deserto, dove tutto è uguale e indifferente; dove le sorgenti della vita si estinguono.
Romano Guardini – un grande filosofo e teologo cattolico italo-tedesco, molto amato da Papa Francesco e dal Papa Emerito Benedetto – a metà del secolo scorso, aveva suonato il campanello d’allarme. Il progredire della scienza e della tecnica aveva generato un comprensibile ottimismo, avvertito come «disincanto» del mondo. In realtà, il novecento ha segnato uno dei periodi più bui della storia, con due guerre mondiali, milioni di vittime e forte regresso della civiltà europea. Oggi, a metà del secondo decennio del XXI secolo, si rischia una nuova miopia antropologica: il pensiero unico dominante – egoisticamente attratto da una libertà senza verità – non si accorge delle conseguenze nefaste prodotte, a danno dell’umanità e della stessa democrazia, da una «cultura» che – anziché promuoverla e custodirla – distrugge «madre natura». Una cultura che vuole costruirsi eliminando Dio, non può riuscire, per il semplice fatto che Dio esiste.
Ora, non si tratta di mortificare lo sviluppo delle potenzialità umane, ma di dare loro un’«anima», una «forma», che le renda capaci di crescere nell’alveo dell’etica della responsabilità. Occorre, dunque, un’autocritica dell’età moderna, per riscoprire le nostre radici e recuperare quella verità che ci fa liberi e capaci di viverla nell’amore.
San Valentino può e vuole aiutarci, come ha sempre fatto nei secoli, plasmando in questa terra “gente di pasta buona”. Ma tutti dobbiamo riascoltare il suo insegnamento e imitare il suo esempio, camminando senza indugi lungo i sentieri della fede, della speranza e della carità».

La statua di San Valentino

La statua di San Valentino

Leopoldo Di Girolamo Il sindaco di Terni, intervenuto alla cerimonia, ha ringraziato «monsignor Piemontese per aver invitato nuovamente a Terni monsignor Vecchi. La sua presenza ci riempie di gioia perché la sua permanenza in città è stata breve ma intensa. Abbiamo un bel ricordo, in una fase difficile per la città». Oggi «siamo qui – ha aggiunto Di Girolamo – sopratutto per festeggiare il patrono di Terni che rappresenta testimonianza di fede e virtù civile. La statua del Santo testimonia ai passanti il dovere dell’amore verso gli altri». L’anno appena passato «ha segnato la città per la lotta ‘epica’ per la fabbrica che rappresenta Terni e i suoi abitanti». Terni, ha concluso il sindaco, «accoglie e integra il prossimo, ma c’è bisogno di più rispetto reciproco e dovere civico».

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