Spazio ai precari. Non a chi ha già un contratto ‘stabile’, ovvero a tempo indeterminato, e si aggancia ai meccanismi della legge per raggiungere avanzamenti di carriera. La sentenza 878 del 2020 del Consiglio di Stato dello scorso febbraio dice sostanzialmente questo e, pur essendo sin qui passata quasi inosservata, rischia di produrre effetti a catena in tutta una serie di ambiti pubblici. Comprese le aziende sanitarie e ospedaliere dell’Umbria.
Cosa dice
In pratica la sentenza è stata emessa a seguito di impugnazione da parte del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea) che chiedeva la riforma di una sentenza del Tar del Lazio del 2018. Il contenuto della decisione fornisce una chiara interpretazione del decreto leglslativo 75 del 2017 (‘Superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni’): «La partecipazione alla procedura di stabilizzazione di dipendenti già in servizio a tempo indeterminato presso una pubblica amministrazione – si legge – entra in contraddizione con la ‘ratio’ della norma, alterandone il carattere speciale di reclutamento ristretto alla platea dei dipendenti in servizio ‘precari’, in quanto titolari di contratti a tempo determinato».
Possibili conseguenze
Cosa vuol dire? Dal punto di vista degli effetti, chi ha ottenuto progressioni di carriera sfruttando le possibilità apparentemente offerte da uno dei decreti attuativi della Legge Madìa (qual è il decreto legislativo 75/2017), rischia a questo punto di dover tornare indietro. Con conseguente annullamento degli avanzamenti – che necessitano di concorsi per essere attuati – da parte degli enti pubblici che intendano agire in autotutela. Se questa sarà la strada seguita anche dalle realtà umbre non estranee a tali progressioni, è presto per dirlo. Ma l’alternativa è quella di vedere impugnate quelle stesse delibere da chi ha interesse a farlo.