Umbria: «Il governo ci taglia i fondi europei»

L’allarme lo lancia il segretario generale della Cgil dell’Umbria, Mario Bravi: «Nel corso dell’incontro sul Dap in Regione abbiamo avuto notizia del taglio che il governo di Matteo Renzi effettuerà sull’Umbria: 200 milioni di euro dei fondi europei, ammontanti complessivamente a 1.700 milioni, e destinati alla nostra regione attraverso il sistema del cofinanziamento».

I numeri Queste risorse, 200 milioni di euro appunto, «vengono centralizzate, riducendo così gli spazi di intervento per contrastare la crisi devastante che attraversa la nostra regione. Crisi tutt’altro che conclusa visto che non si intravede nessun segnale di ripresa soprattutto sul versante del lavoro. Anzi – dice Bravi – dati recenti dimostrano un ulteriore inasprimento, in particolare per quanto riguarda la presenza femminile nel mercato del lavoro (che cala del 3,3% nel terzo trimestre 2014), mentre si allarga il fenomeno del precariato (solo il 9,5% degli avviamenti al lavoro avviene con contratti a tempo indeterminato). Nel 2015 con l’applicazione del jobs act e con la mancanza di copertura degli ammortizzatori sociali la situazione diventa ancora più difficile».

Le aree in difficoltà Il segretario della Cgil regionale considera «inaccettabile il taglio di risorse fondamentali come quelle dei fondi europei, che dal nostro punto di vista devono essere finalizzati a creare occupazione, costruendo un vero piano del lavoro che contrasti la crisi nella nostra regione. Per questo, nel corso dell’incontro sul Dap abbiamo rilanciato l’esigenza di una strumentazione che contrasti la crisi, che valorizzi le risorse dei fondi europei e dia seguito al riconoscimento di area di crisi complessa nel ternano e all’accordo di programma nella fascia appenninica attorno alla ex Antonio Merloni».

L’appello Secondo il sindacato «occorre una risposta forte che contrasti tale impostazione sapendo che anche questo è fondamentale per difendere e valorizzare l’identità dell’Umbria contro ogni logica di semplificazione che ha solo l’effetto di ridurre gli spazi di democrazia senza dare risposte ai bisogni e ai diritti delle persone, in primo luogo quello al lavoro».

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