«Una cosa di sinistra? Facciamo politica»

Terni, Daniele Lombardini, della segreteria del Pd, lancia proposte e provocazioni

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di Daniele Lombardini
membro della segreteria provinciale
del Partito Democratico di Terni

Senza scomodare il Gaber di Destra-Sinistra bastano pochi click in rete per accorgersi di quanto sia vecchio, eppure tuttora lungi dall’essere concluso, il dibattito su cosa sia di sinistra e cosa no. Non solo nelle stretta e autoreferenziale comunità degli addetti ai lavori, ma anche nella percezione diffusa dell’elettorato e dei cittadini in generale. Qualche perplessità in più sulla sua generalizzata, spesso strumentale, importanza.

Costruire una sinistra moderna non significa né scimmiottare la destra né arroccarsi su posizioni di neo conservatorismo sindacale. Essere (o meglio fare) sinistra oggi dovrebbe tradursi nell’andare oltre ogni tipo di stereotipo e di paura che inibisce ogni cambiamento in positivo della società. Avere un approccio laico alle questioni, superando le comode rassicuranti incrostazioni che spesso limitano la nostra azione. Perché proprio la sinistra ha bisogno per suo stesso “compito storico” di un pensiero continuamente rifondato.

Perché per dirla alla Biagi “si può essere a sinistra di tutto, ma non del buon senso”.

L’irruzione delle nuove tecnologie, che con la loro pervasività consentono ad ogni individuo di partecipare al dibattito pubblico, ha portato con sé due conseguenze: da un lato la politica ha cercato (o meglio sta cercando) di ricostruire un nuovo rapporto con il cittadino–elettore basato su emozioni ed umori, dall’altro si è assistito alla crisi del modello del partito di massa che non riesce più ad aggregare volontà di singoli che si esprimono in ordine sparso.

Uno ‘stile populista’ in cui la sinistra stenta a trovare una sua pragmatica collocazione, intrepretando, a seconda dell’indole o della convenienza, posizioni neo-movimentiste o ruoli anacronistici di ‘vestali del tempio del Tempo che fu’. Uno stile che particolarmente in Italia, con il suo triste primato di analfabetismo funzionale, è ancora più difficile a mio avviso da cucire addosso ad un’area politica.

Il Partito Democratico poggia ben saldo i suoi piedi in questa palude. Dalla sua fondazione.

Senza perdersi in avventure tassonomiche, che lasciano il tempo che trovano, c’è chi come il giornalista e scrittore Christian Raimo ha provato in un recente articolo su L’Internazionale a suggerire un passo in avanti, in primis a tutti coloro che provano ancora a dirsi ‘di sinistra’. Raimo, attraverso la rilettura del pensiero del filosofo argentino Laclau, ci pone davanti ad un rovesciamento di prospettiva: il populismo è stato condannato moralmente (mentre intanto la crisi delle ideologie del Novecento si portava dietro oltre a partiti e sindacati anche l’impianto stesso dei diritti sociali).

E se invece fosse possibile un’intelligenza del popolo? Come avviene questo processo? Si può immaginare attraverso un percorso nuovo, opportunamente condotto, una riduzione della frammentazione all’interno della sinistra italiana e portare a compimento le realizzazione del partito democratico? Un approccio affascinante che darebbe un senso anche a tutte quelle persone che non sono più iscritti ai partiti, non lo sono mai stati o non votano.

E’ un nostro dovere quello di provare a ricostruire una comunità politica che riesca ad andare oltre a quel cpsì deto ‘paradossale consenso al quarantenne Renzi’ – evidenziato da alcuni commentatori –, sostenuto di fatto in larga misura da una ‘generazione ante muro’, piuttosto che da un voto giovanile polarizzato su Grillo e dintorni. Voto che solo con una svolta culturale può essere recuperato.

A Terni l’assemblea comunale, figlia di un congresso lontano politicamente anni luce, ha da poco eletto un nuovo segretario dal quale ci si attende molto, forse troppo per le condizioni di salute del Pd ternano. I primi passi, un po’ lenti a dire la verità, esprimono però con forza il surplace che accompagnerà il Pd alle liste per le prossime elezioni politiche.

In una situazione politica nazionale in cui tutto può accadere, con un Italicum in più, con i risultati delle elezioni regionali che hanno rimesso in gioco le legittime aspettative e carriere politiche di molti e le amministrazioni locali in affanno, solo apparentemente si respira un’atmosfera costruttiva.

E’ speranza condivisa in città (ma la questione vale anche in Provincia e nella Regione) che il partito più grande esca finalmente dal guscio e, oltre a riorganizzare le proprie strutture di partecipazione nel territorio, sappia esprimere una linea politica chiara, in grado di sostenere un’efficace azione amministrativa, con un linguaggio adeguato ai tempi, per coinvolgere non solo la classe dirigente cittadina tutta, ma la città intera.

Le piccole e grandi Leopolde con il ‘popolo – sempre lo stesso, sempre più nomade – dei selfie al tavolo’ e le cene di sottoscrizione sono un inizio, ma non bastano.

Un punto di partenza? La consapevolezza che, tanto per rassicurare la classe dirigente democratica: non ‘parlano di noi fuori’, non ‘ci guardano’ come spesso risuona nei polverosi refrain (autogeni) degli organismi di partito. Semmai ci dipingono come gli emaciati Bizantini del Brancaleone monicelliano, ovviamente con minore ironica poesia.

Perché dovrebbero farlo? Proviamo a rispondere. Facendo politica.

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