Atenei nel mondo, ‘guerra’ di classifiche

Per i cinesi di Arwu l’università di Perugia è in 500esima posizione, ma se si analizzano i risultati in base alle spese ecco che la classifica si capovolge

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L.P.

E’ tutta questione di punti di vista. Anche nel caso delle classifiche internazionali. Aveva fatto discutere, nei giorni scorsi, anche se non in casa nostra, la classifica Arwu stilata dalla Jiao Tong University di Shangai che aveva valutato le oltre 1200 università sparse nel mondo.

Arwu Al vertice, neanche a dirlo, nemmeno una italiana. Le americane Harvard e Stanford, le inglesi Cambridge e Oxford. Per trovare la prima del Bel paese bisogna scendere alla 150esima posizione, dove stazione La Sapienza e poi ancora più in fondo Pisa, Milano, Padova e poi ancora, dopo 200 istituti, Bologna e Firenze. Tra le 500 migliori università del mondo, neanche a dirlo, Perugia non compare affatto secondo la classifica cinese che prende in esame gli ex studenti premi Nobel o i professori insigniti del prestigioso riconoscimento, la qualità della ricerca, i paper pubblicati e i ricercatori più citati e le performance rispetto al numero degli iscritti.

La classifica stilata da Roars che inverte quella cinese

La classifica stilata da Roars che inverte quella cinese

Roars Eppure la classifica è stata rovesciata. Ci ha pensato un professore di Ingegneria dell’università di Pavia, che collabora con la rivista online Roars. Giuseppe De Nicolao, infatti, ha provato ad aggiungere un altro indicatore ai dati raccolti a Shangai e, come per magia, in testa appaiono tutte università italiane. Il criterio aggiunto nell’analisi qualitativa degli atenei è quello di mettere a confronto i risultati ottenuti con la spesa effettuata, dividendo i costi di gestione di ogni università per il numero di punti raggiunti secondo il criterio cinese.

Perugia in cima A guidare la nuova classifica ai primi dieci posti ci sono otto atenei italiani tra cui anche l’Università degli studi di Perugia che appunto risulta decima in classifica nonostante il ranking cinese gli assegnava appena 10,18 punti mentre, ad esempio, ne dava 100 a Harvard. Lo stesso autore lo descrive come un puro divertissement agostano, in ogni caso l’esercizio di stile proposto dalla rivista accademica qualcosa può insegnare. Attraverso dei calcoli, infatti, si può rilevare l’efficienza delle università italiane che spendono meno a confronto con i colossi della formazione d’oltreoceano, ben 36 milioni contro i 55 delle americane.

Risorse Nulla a che vedere con il calo degli iscritti che da anni affatica l’ateneo perugino e con un’offerta formativa forse un po’ datata. Per competere a livello internazionale si gioca tutto sul campo delle risorse finanziarie investite nella ricerca e nella qualità degli studi proposti. «Una classifica pseudoscientifica come la Arwu – conclude il professor De Nicolao –  più che testimoniare il ritardo e l’irrilevanza degli atenei italiani, finisce per confermare quello che dicono le statistiche bibliometriche, ovvero che il sistema universitario italiano, pur sottofinanziato, nel suo complesso non è meno efficiente di quelli delle maggiori nazioni straniere».

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