Giustizia-spettacolo: «Terni, svegliati»

L’ex assessore comunale di Terni Giorgio Armillei concorda con il corsivo per umbriaOn di Walter Patalocco, ma fa delle riflessioni

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di Giorgio Armillei
Ex assessore comunale a Terni

In un corsivo dei suoi per umbriaOn Walter Patalocco ha scritto a proposito della spettacolarizzazione dell’attività investigativa e del suo uso strumentale nel dibattito pubblico. Concordo pienamente con lui: reazioni scomposte e prive di una proporzione tra i fatti e le azioni producono solo danni per la città. Il discorso pubblico, essenziale per immaginare una strategia per la ripresa di Terni, Narni e dell’intera area urbana integrata, si costruisce solo nel dialogo e nel confronto degli argomenti, non certo sulle macerie delle istituzioni politiche né su quelle che appaiono solo vendette di breve periodo.

La riflessione di Patalocco può tuttavia essere sviluppata in almeno altre due prospettive. La prima tocca i diritti delle persone coinvolte dall’attività investigativa: sguazzare nei social utilizzando indagini e perquisizioni non fa male solo alla città. Ci sono innanzi tutti in gioco diritti fondamentali delle persone che non possono essere sacrificati per fini di moralizzazione della vita pubblica o per alimentare lo scontro politico. Investigazioni e sentenze esemplari – purtroppo non rare, come recenti esempi che hanno toccato cittadini ternani dimostrano – sono al di fuori della logica della moderazione e della proporzione che appartiene alle istituzioni liberali e all’esercizio del potere giudiziario, un potere “così terribile tra gli uomini”. Significa trattare le persone come mezzi e non come fini, violando una regola essenziale del diritto e della morale pubblica. Per questa prima prospettiva deve valere una sorta di pregiudiziale irrinunciabile: il conflitto politico non deve mai arrivare a usare le persone.

La seconda tocca la politica e il suo rapporto con la magistratura. Ormai da decenni assistiamo a quella che gli esperti chiamano giudiziarizzazione della politica: le decisioni collettive che vincolano la città slittano sempre di più dal campo politico a quello giudiziario. Pensando agli avvenimenti di questi giorni non è difficile scovare riscontri. Terni deve disporre di un sistema di welfare corporativo, quindi tendenzialmente oligopolistico, essenzialmente risarcitorio, nel quale – come in tutti i casi di eccesso di intermediazione politico amministrativa della spesa sociale – gli interessi degli utenti dei servizi si confondono con quelli dei soggetti che erogano i servizi; oppure deve godere di un welfare societario, collaborativo, liberista che punta alla capacitazione e non al risarcimento? Ecco un dilemma che debbono sciogliere gli elettori e non gli investigatori o gli utilizzatori mediatici del lavoro di investigazione. E allo stesso modo, Terni deve usare le opere pubbliche come volano di crescita, come nel secolo scorso durante la stagione d’oro dell’interventismo pubblico in economia; oppure dovrà essere la rigenerazione urbana fatta di competenze, imprese culturali, arte, bellezza, servizi intrecciati all’innovazione industriale, formazione, la chiave fondamentale per la ripresa della città? Ecco un secondo dilemma che spetta sciogliere agli elettori. E si potrebbe proseguire: il piano di riequilibrio dei conti del Comune deve servire a tamponare le falle della spesa corrente, rimediando ai risultati negativi di alcune sue aziende e a squilibri della spesa di lunga durata; oppure deve aggredire una volta per tutte le rigidità strutturali del bilancio comunale tagliando spese, tagliando tasse, abbandonando il micidiale mix demagogico tariffe/servizi e investendo su cultura, tecnologie, formazione e marketing del territorio? E ancora: la politica industriale che si immagina di realizzare attraverso il programma per l’area di crisi complessa deve essere un ulteriore caso di governo spartitorio come lo chiamava Giuliano Amato, fatto di tavoli istituzionali e concertazioni tra gli interessi organizzati e garantiti; oppure sposterà le politiche pubbliche sull’asse di integrazione tra Terni, Narni e l’area metropolitana romana, come suggeriscono l’analisi economica e quella territoriale, investendo su formazione, tecnologie smart e servitizzazione della manifattura e puntando sulla strategia delle reti di città?

Per ritrovare una collocazione appropriata nella formazione delle scelte collettive, le imprese, le istituzioni formative, la comunità ecclesiale, la politica, debbono tuttavia riprendere con vigore il loro spazio in città: non si può fare slalom tra Procura della Repubblica e Procura della Corte dei conti per tirare le somme sul futuro di Terni. A ciascuno il suo lavoro: la politica in primo luogo deve ritrovare con orgoglio il suo posto, sottoponendo a severa revisione critica la sua storia dentro la storia della città. Il posto della politica è quello della spinta gentile, della visione, della leadership condivisa, della motivazione, degli obiettivi ambiziosi, dell’amministrazione corta e leggera, del cambio generazionale, del provarci anche quando sembra impossibile, del rinunciare alle vecchie certezze, del rischiare nuove avventure, della città come luogo privilegiato dell’innovazione, della costruzione di nuove alleanze, della voglia di riscatto. E la prima alleanza giusta per il futuro della città è il dialogo aperto e schietto tra le sue diverse sfere sociali, tutte abilitate ad occuparsi del bene comune, senza supremazie o prerogative. In altri termini meno politica per una politica più forte.

Questo tipo di alleanza non esclude la competizione e il conflitto, anzi li esige e li presuppone. Esclude però la chiusura e l’arroccamento, la difesa del passato che non vuole passare, l’incapacità di smontare i tabù che soffocano la città, la sudditanza verso altri livelli di governo. Esclude le urla, le dimostrazioni di forza, le semplificazioni, le manovre riservate ed esige mitezza, moderazione, sguardo lungo e confronto pubblico. E’ un’alleanza che rifugge dal populismo giudiziario, quell’insieme di atteggiamenti e di strategie che estende alla politica – e più in generale ai percorsi di decisione collettiva che riguardano la città – lo stile e la logica del pubblico ministero, come se questa parte della magistratura potesse allearsi alle presunte parti sane della città contro le sue presunte parti malate. Il populismo giudiziario finisce così per l’alimentare una sorta di fideismo, infarcito con pulsioni di rivalsa e caratterizzato da una vera e propria rabbia urbana. Rispetto a questa micidiale combinazione – che beninteso ha spesso molte ragioni per esplodere – è la debolezza della leadership politica che trasforma i pubblici ministeri in salvatori e tutori della buona politica. Da qui scaturisce la tentazione irresistibile ad utilizzare perquisizioni e avvisi di garanzia per costruire un discorso pubblico altrimenti lacunoso e incerto. In tutto questo non c’è nulla che somigli alla buona politica né che rifletta la parte sana della città: anzi in tutto questo c’è la prova che “buona politica” e “parte sana della città” sono espressioni che converrebbe abbandonare una volta per tutte. Buono/cattivo e sano/malato sono infatti semplificazioni manichee che non fanno al nostro caso. Sono espressioni che si alimentano di una lettura complottista che serve solo ad assolvere le sconfitte e le debolezze di chi pretende di rappresentare un’alternativa di sistema, essendo invece vittima della vecchia tentazione politicista che immagina di poter “guidare” la città.

Terni ha bisogno di un lavoro di scavo e di ricerca, forte e paziente, inclusivo ma selettivo, un lavoro che consegni la sua storia ai libri e metta il suo futuro nelle mani di chi può fabbricarlo, un lavoro per rintracciare e rilanciare nel suo quotidiano gli elementi che ne possono fare ancora una città europea e non una città in declino. Il messaggio lanciato dal Convegno ecclesiale del 14 giugno 2008 non fu raccolto ma la questione è ancora inesorabilmente quella, aggravata dalla recessione. Ma Terni è ancora in tempo: con buona pace di populisti e moralizzatori non sarà la giudiziarizzazione della politica a dipingere il futuro possibile per Terni. Terni può farcela ma ha bisogno di una leadership collettiva nuova che rifletta la natura poliarchica della città, frutto di quello scavo e di quella ricerca. Una leadership che proprio in relazione a questa fase della storia della città non può attestarsi sulla transazione e sulla composizione degli interessi e degli equilibri. Al contrario della composizione e della transazione la leadership collettiva di cui Terni ha bisogno deve mobilitare gli interessi, scuoterli, sfidarli, estrarne gli obiettivi e le idealità, parlare al cuore non alla pancia né alla testa. Deve usare intelligenza emotiva, capacità di empatia, visione, fantasia comunicativa. Solo così potrà vincere la rabbia e il rancore, convertire il disagio livoroso in forza collettiva, concedere tranquillità a chi si impegna realmente per sé stesso, per la propria famiglia e per la città. E restituire così a Terni, Narni e all’intera area urbana integrata le chance che meritano per quello che possono fare e non più per quello che hanno fatto.

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