Terni, cura ‘dannosa’: doppia assoluzione

Problemi per una paziente dopo lo ‘stravaso’ del farmaco chemioterapico: la procura contabile aveva citato medico e infermiera

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Due donne, un medico e un’infermiera del Santa Maria di Terni, erano state citate a giudizio dalla procura della corte dei Conti dell’Umbria dopo che l’azienda ospedaliera aveva risarcito con 125 mila euro i danni riportati nel marzo del 2012 da una paziente 80enne durante un ciclo di chemioterapia, a seguito dello ‘stravaso’ del farmaco. La sentenza è arrivata a metà luglio con i giudici di via Martiri del Lager che hanno assolto le due professioniste – difese dagli avvocati Giovanni Ranalli, Laura Fiorani e Norma Festucci – a cui era stato contestato un danno all’amministrazione sanitaria pari al risarcimento liquidato.

Le contestazioni A seguito dello stravaso del farmaco ‘Myocet’ nel tessuto perivascolare, la paziente aveva riportato diversi problemi di salute fra cui una «tromboflebite e pannicolite del braccio ed avambraccio destro». A ciò aveva fatto seguito una richiesta di risarcimento all’azienda ospedaliera pari a 200 mila euro, con l’accordo successivamente raggiunto per una cifra di 125 mila euro. La questione era finita all’attenzione della magistratura contabile che aveva citato il medico e l’infermiera che si erano occupate dell’anziana, contestando il danno erariale sulla base del «mancato controllo della paziente nel corso del trattamento e della inappropriata somministrazione della terapia, aggravatasi nei giorni successivi, che ha favorito l’estensione delle lesioni».

La sentenza La corte dei Conti dell’Umbria ha deciso per l’assoluzione delle due professioniste sulla base di diverse ragioni. Fra queste i giudici del collegio individuano alcuni ‘aspetti nodali’: «La paziente non venne lasciata da sola in quanto ‘visitata periodicamente’, una più ‘stretta’ sorveglianza era resa problematica dal numero esiguo di infermieri in servizio – due soltanto – rispetto a quello elevato dei pazienti assistiti, la ‘pompa infusionale’ era difettosa e non ha dato i segnali di allarme per la fuoriuscita del farmaco, che pure avrebbero consentito un intervento più immediato. Trattasi – si legge nella sentenza – di aspetti degni della massima attenzione, il cui negativo accertamento avrebbe potuto anche suffragare il giudizio di gravità della colpa affermato da parte attrice».

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