Terni: le battaglie sui nomi eclissano le idee. Mentre tutto si ripete

Politica e classi dirigenti in difficoltà quando si tratta di disegnare il futuro. Programmare non va proprio di moda

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di F.T. – Editoriale

A meno di cinquanta giorni dal voto amministrativo, considerando anche il ‘silenzio’ elettorale, a Terni si continua a parlare di possibili candidature alla poltrona di sindaco. Necessario? Purtroppo sì, visto che c’è chi – centrodestra in testa – ad oggi non è riuscito a trovare ancora la ‘quadra’. Altri l’hanno sì raggiunta, ma penando parecchio e con tutte le scorie del caso. Che quello dei nomi sia il tema dominante, che spedisce nello sgabuzzino contenuti, programmi e progetti, fa tuttavia riflettere. Sulle condizioni di Terni e della sua classe dirigente che, quando non pecca di personalismi e sete di posizioni, sconta una pesante latitanza in termini di visione e progettualità. E la ricerca affannosa e in alcune fasi dilaniante di candidati, ne è lo specchio.

Nel campo del centrosinistra c’è la percezione che la forza di maggioranza relativa, il Pd, non abbia preparato questo passaggio, comunque fondamentale per la città, con il necessario anticipo sui tempi e in maniera capillarmente organizzata. Come ci si immagina da una forza politica che negli ultimi anni, qui come a livello nazionale, ha vissuto fasi di profonda difficoltà e che dovrebbe ambire a riscattarsi, rinnovarsi e ricostruire. Lo stallo del centrodestra invece, che va avanti ormai da tempo e che ora potrebbe essere risolto da un’indicazione perentoria dei livelli nazionali dei partiti, è evidente a tutti e incomprensibile per molti. Un centrodestra capace di avvitarsi su se stesso, tanto da mettere a rischio la sua stessa tenuta e in cui ambizioni e divisioni potrebbero contribuire ad archiviare l’esperienza Latini. Un po’ come auto bocciarsi e rinnegare una continuità amministrativa necessaria per centrare quegli obiettivi rimasti in parte sulla carta.

Candidatura quella di Latini che – va ricordato – nel 2018 venne praticamente imposta da Matteo Salvini, al tempo una sorta di ‘Re Mida’, sulle fioriere di largo Elia Rossi Passavanti, ad un centrodestra che era a trazione fortemente leghista. Oggi il vento, stando anche al recente voto politico, non è più quello ma la volontà di affermare e affermarsi da parte di chi vanta la maggioranza relativa in città, sembra la stessa. L’augurio, per chi legittimamente ambisce, è che non siano uguali anche le fluttuazioni di una politica ormai liquida, in cui l’elettore sembra sempre meno vincolato al proprio pensiero di fondo, al senso di appartenenza. La parabola della Lega, insegna.

In questo contesto trovano ampio spazio l’autoreferenzialità e, quando è il potere il reale obiettivo che anticipa le idee, le divisioni. Quelle fra gli alleati e quelle interne agli stessi partiti. Non è un mistero che sia la Lega – che ha messo in discussione il suo sindaco, legittimando gli altri a fare lo stesso – che FdI abbiano all’interno più anime e più punti di vista su quale sia la persona giusta da candidare a primo cittadino. Ma questa ricerca spasmodica – che dà un vantaggio a chi ha saputo giocare d’anticipo, come Stefano Bandecchi e il M5s – ha finito per togliere tempo ed energie. Tanto alla costruzione di contenuti e programmi di medio/lungo termine che vadano oltre quei concetti prêt-à-porter che rendono indistinguibili gli uni dagli altri, quanto alla definizione delle liste da cui emergeranno i componenti del prossimo consiglio comunale che, comunque la si guardi, resta centro nevralgico e propulsore dell’attività politico amministrativa della città. A cui in troppi continuano a voltare le spalle senza neanche un ‘ci scusi’ di forma.

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