Terrorismo: «Nessun territorio è immune»

Perugia, per il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti l’Italia ha tutti gli strumenti per contrastare un «fenomeno di islamizzazione della radicalità»

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L.P.

«Nessun territorio è immune». Come per la mafia, così anche per il terrorismo di matrice internazionale, la guardia deve rimanere altissima, anche in Umbria.

Protocollo E’ questo lo spirito con cui Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia, ha siglato a Perugia, venerdì mattina, un protocollo che rafforzi la collaborazione e lo scambio di informazioni tra procure nell’ambito delle indagini sul terrorismo. Napoletano, ex procuratore a Salerno, dal 2013 Roberti è stato nominato a capo dell’antimafia da parte del Csm che lo ha preferito a Luigi De Ficchy, al tempo procuratore a Tivoli e oggi a capo della procura perugina.

L’INTERVISTA AL PROCURATORE FRANCO ROBERTI

Le inchieste Anche l’Umbria, come tutta Italia, è un territorio sensibile, secondo Roberti. «Qui in passato ci sono state indagini importanti, come quella che ha riguardato la moschea di Ponte Felcino – racconta a margine della firma del documento con i rappresentanti di tutte le procure umbre, durante un breve incontro con la stampa nell’ufficio del Procuratore Cardella – ma non c’è un rischio specifico vero e proprio per quanto, come per le infiltrazioni criminali, nessun territorio può dirsi al sicuro». Per il procuratore antimafia i soggetti pericolosi tendono ad annidarsi in quei luoghi in cui la presenza investigativa si suppone sia minore.

Livello di rischio In un momento internazionale così delicato, con l’eco dell’ultimo attacco all’aeroporto di Instanbul e ancora l’Europa che si interroga sui propri sistemi di sicurezza, dopo gli attentati a Bruxelles e a Parigi, il tema è più attuale che mai. «L’Umbria non è un territorio idoneo a nascondere questi soggetti, così come lo è l’intero Paese nel suo complesso perché i potenziali terroristi sentono la pressione investigativa. Il nostro sistema – ha rassicurato Roberti – non può garantire al cento per cento la sicurezza, il rischio attentati c’è sempre, ma il livello è lo stesso in Italia, come in Europa».

Misure di contrasto E con quali strumenti le nostre forze dell’ordine possono contrastare il fenomeno? «Gli strumenti sono tanti e forti – spiega Roberti – basti solo pensare che le espulsioni di numerosi soggetti pericolosi hanno stroncato sul nascere qualsivoglia fenomeno. Oltre a ciò esistono anche misure di prevenzione che la Direzione nazionale antimafia sta mettendo in campo direttamente anche nei confronti di soggetti presunti pericolosi, come l’adozione di misure personali e patrimoniali comminate a soggetti non ancora sottoposti a procedimenti penali». Misure, quindi, in via preventiva, applicabili non solo sulla base di sospetti, ma là dove ci sono gravi indizi per ritenere un soggetto pericoloso.

Mafia Il rischio, però, è che come per le infiltrazioni criminali, anche per i reati in odor di terrorismo le procure umbre, alle prese con una materia nuova, facciano difficoltà a percepire gli indizi, quei sospetti che poi possano rientrare nei casi previsti dai ‘reati spia’ oggetto del protocollo e della legislazione in materia di contrasto alle attività di terrorismo. «Il rischio c’è e è reale – ha affermato Roberti – però devo dire che anche di recente la magistratura umbra si è mossa bene nel campo dei reati di stampo mafioso, a breve, infatti, si arriverà al processo per l’operazione ‘Quarto passo’. Siamo convinti che sia questa la strada da portare avanti, una strada fatta di collaborazione tra la direzione distrettuale antimafia e le varie procure umbre».

Immigrazione La paura degli attentati terroristici, poi, nell’opinione pubblica si lega indissolubilmente anche con i fenomeni migratori e gli sbarchi di profughi che, ogni giorno, avvengono sulle coste italiane. Molti di questi flussi, poi, si spostano verso il nord Europa per questo, secondo Roberti, è necessaria non solo la cooperazione tra procure a livello locale, ma anche quella internazionale perché le cellule jihadiste seguono le rotte che portano in quei paesi dove c’è meno rigore e le maglie della sicurezza sono più ampie. «Qui in Italia ci siamo fatti un grande bagaglio di esperienza con la lotta e il contrasto alle mafie, allo stesso modo dobbiamo fare fronte comune contro il terrorismo e mettere a disposizione le nostre conoscenze anche agli altri paesi».

Islam e terrorismo Ma il paragone tra immigrazione e terrorismo al procuratore Roberti non piace proprio. «Escludo che i terroristi arrivino in Italia nascosti tra i migranti che sbarcano sulle nostre coste, non ci sono arrivi di soggetti già formati e radicalizzati pronti a colpire obiettivi sensibili. Diciamo, piuttosto, che possono arrivare soggetti già predisposti che poi possono entrare in contatto con cellule insediate in Europa». Allo stesso modo, per Roberti, non esiste un Islam moderato e un Islam radicale, gli attentati sono figli di una radicalizzazione della religione, di quel nichilismo che veste i panni della religione musulmana e tira fuori i risvolti più violenti.

Europa Per cercare di fronteggiare ancor più quest’avanzata, dunque, la soluzione potrebbe risiedere nell’omogeneizzazione della giurisdizione. Il trattato di Lisbona, infatti, prevede già l’ipotesi di una Procura europea con particolari competenze soprattutto in campo finanziario che potrebbero essere estese anche per ciò che riguarda il terrorismo. Il problema, però, sono le leggi, diverse in ciascun paese europeo e i differenti modelli giurisdizionali adottati per cui gli stessi organismi già in funzione in ambito europeo, come la Interpol, Olaf e Eurojust fa sì che si accavallino sempre nuove competenze n capo a nuovi istituti ma che non si trovi mai una soluzione unitaria ed efficace secondo Roberti.

Bitcoin Affinché le leggi portino a dei risultati concreti, è poi fondamentale che lo stato investa risorse, anche economiche, per la continua formazione delle forze dell’ordine. «Basti pensare che, oggi, le attività criminali, non solo quelle terroristiche, si muovono online, con transazioni finanziarie che utilizzano i bitcoin, la moneta virtuale. Non è una lotta a costo zero, dunque, e le risorse da investire sono sempre di più».

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