Pignoramento di beni, esecuzione e diritti. Sono i principali temi legati ad una sentenza della sezione civile del tribunale di Rieti che ha coinvolto un avvocato di Terni, Debora Castellani: il cittadino da lei difeso, un 60enne, l’ha spuntata nel giudizio contro una banca tedesca controllata dalla Deutsche Postbank.
Il fatto
In ballo una cifra di poco superiore ai 45 mila euro, ovvero la somma – un precetto – da pagare intimata dalla banca. Cosa è successo? La giudice Silvia Grana ha sostanzialmente sentenziato che la banca non ha il diritto di procedere ad esecuzione forzata per inidoneità del «consenso a iscrizione di ipoteca a garanzia del prestito» a costituire valido titolo esecutivo. D’altronde per pignorare i beni del debitore, il creditore deve avere a disposizione un titolo – i requisiti specifici li sancisce l’articolo 474 del codice di procedura civile – che accerti il suo diritto. Altrimenti nulla.
Niente esigibilità
Il tribunale di Rieti ha infatti sancito che, nel caso specifico, non c’erano i requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità propri del titolo esecutivo. Risultato: niente da fare per la banca. Quest’ultima aveva azionato il titolo esecutivo con un atto notarile di «consenso a iscrizione di ipoteca a garanzia di prestito» contenente la ricognizione del debito scaturente da un contratto di mutuo fondiario pari a 85 mila euro collegato ad un «contratto di risparmio edilizio». Ovvero un particolare istituto di diritto tedesco. Nella circostanza tuttavia la sottoscrizione di mutuo fondiario non dà atto della traditio della somma ma, invece, sottopone l’erogazione della stessa «ad una serie di condizioni».