Omicidio stradale, Bravi «a processo»

Nell’incidente dello scorso novembre perse la vita una donna. Il cantante di Città di Castello fece una manovra azzardata. Udienza a dicembre

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Lo scorso novembre ha avuto un incidente nel quale è rimasta uccisa una donna. Oggi per Michele Bravi, cantante di Città di Castello, viene chiesto il rinvio a giudizio per ‘omicidio stradale’. Il 5 dicembre, oltre un anno dopo i fatti, udienza davanti al Gup.

I fatti

Il dramma si consumò la sera del 22 novembre scorso a Milano. Lo scontro tra l’auto del cantante e la moto di una donna di 58 anni, Rosaria Colia, poi deceduta, è avvenuto il 22 novembre 2018. Ora arriva una svolta: il pm Alessandra Cerreti, nel chiedere lo svolgimento del processo per il 24enne tifernate, ha disposto anche una consulenza cinematica per ricostruire l’accaduto: da capire quanto sia stata decisiva la manovra azzardata di Bravi, che fece una inversione in una zona non consentita. Secondo quanto ricostruito dalla polizia locale, la signora, in sella alla sua moto, si è trovata davanti la Bmw che stava effettuando la manovra e non è riuscita a evitare l’impatto.

La lunga assenza dalla scena pubblica

Va chiarito che Bravi si è immediatamente fermato per prestare i primi soccorsi e dagli accertamenti non è emersa presenza di alcol o droga nel suo organismo. «Quanto accaduto – aveva scritto il cantante in una nota affidata al suo avvocato – ha certamente e intimamente sconvolto la vita di numerose persone: la mia e quella dei cari della defunta. In questo momento non mi sento di affrontare gli impegni presi precedentemente”. E così annullò tutti i concerti a seguire, ritirandosi dalla scena musicale e rimanendo inattivo sui social.

Michele Bravi, la prima intervista

Certo che, con i tempi così dilatati della giustizia, va capito fin a quando Michele potrà continuare a rimanere lontano dalla scena pubblica. Intanto, dopo mesi di silenzio e dolore, il giovane cantante di Città di Castello, che nel frattempo sta seguendo un percorso di psicoterapia per superare il trauma, è tornato a parlare qualche settimana fa in un’intervista pubblicata dal Corriere della Sera

«Ero in un posto dove non voglio tornare»

«Il rispetto per questa tragedia mi ha portato al silenzio – ha dichiarato Bravi nell’intervista– tornare a parlare è strano: questa non è solo la mia storia. Non parlavo ma nemmeno sentivo più gli altri. Ero in un posto che non so descrivere e che spero di non rivedere più. La mia paura è fare la vittima, davvero non voglio, ho avuto la fortuna di essere portato per mano a fare psicoterapia. Senza quella, non sarei qua e se c’è un messaggio che posso dare è questo: non temere di farsi aiutare».

«Sono cambiato tanto»

«È cambiato tutto perché è cambiato il mio modo di vedere le cose. Prima quello che mi capitava si divideva in modo binario: bene o male, bianco o nero, giusto o sbagliato. Ora è tutto diverso. Credo lo capisca chi ha vissuto una tragedia: le cose non le cataloghi, le accetti. Smetti di semplificare la realtà in due poli e vedi un mondo molto più complesso. Anche trovare un significato non ha più significato. Una persona mi ha detto che cercare un significato al dolore è una forma pigra di sofferenza. È così. Non mi sono nemmeno mai chiesto perché è successo a me. È una visione troppo ego-riferita. Solo, impari a convivere con il male. È come se avessi qualcosa davanti gli occhi per cui non vedi più le cose come prima. Anzi, quasi non mi ricordo più come era prima. È un altro mondo, un altro sistema di affrontare quello che succede. È un nuovo vocabolario a cui mi sto abituando ma che ancora non so articolare bene. Ora anche il silenzio per me ha un altro suono».

«L’incidente? Preferisco non parlarne»

«Non voglio rendere questa tragedia un momento di opinione pubblica – dice Bravi quando gli chiedono di ricordare quei momenti – dico solo che sono state fatte intendere tante cose sbagliate. La tragedia non è certo un titolo sensazionalistico e molto di quello che si è scritto è stato già smentito. Il male rischiava di essere una macchia d’olio, ma ho avuto la fortuna di avere tante persone che mi hanno stretto forte la mano». Allo stesso modo preferisce non parlare del suo rapporto con la famiglia della vittima: «Non per mancanza di fiducia, ma proprio perché questo è un mio modo per ritornare alla realtà, non per riaprire una ferita. E mi fa male possa succedere nel tentativo di ritrovare la mia voce: sto facendo attenzione per non rendere questo dolore circolare. Anche il mio condividere è cambiato: c’è una fetta di privato che è giusto rimanga tale. Una tragedia non può essere affrontata nei contesti sbagliati. Questa è la prima volta che torno a mettere la faccia in prima persona».

«Per fortuna mi hanno aiutato»

«Il miracolo più grande è stato capire che non ero solo. Ho scoperto di avere tanti porti sicuri che ignoravo. Mi hanno stupito tante cose che prima non vedevo e non so come facessi. Ho avuto la fortuna di essere portato per mano a fare psicoterapia. Senza quella, non sarei qua e se c’è un messaggio che posso dare è questo: non temere di farsi aiutare. Io ho avuto tanta luce attorno che mi ha spinto a mettere questo primo tassello per tornare al reale. Ricordo un viaggio per tornare a casa mia, in Umbria. Chi era con me non mi ha detto niente e mi ha messo delle cuffiette. Per tutto il tempo, cinque ore, andava la stessa canzone, ma quel gesto mi ha fatto tornare la voglia di poter essere anche io, per altri, quello che era per me quel cantante mentre lo stavo ascoltando. Quella stessa persona mi ha regalato un pianoforte. Ma dire che ho ritrovato la mia voce è prematuro. Ho tanta voglia di ricostruire la realtà, quello sì».

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