Pillon, la diffamazione e la gaffe sui social

Il Tribunale di Perugia ha condannato il senatore leghista dopo la denuncia di Omphalos. Lui scrive un post e poi si incoraggia da solo.

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Il senatore leghista Simone Pillon è stato ritenuto responsabile di diffamazione per avere offeso la reputazione del circolo omosessuale Omphalos di Perugia. Lo ha deciso il Tribunale di Perugia. Esultano le associazioni Lgbti mentre il senatore scrive su Facebook le sue motivazioni. E poi… si fa i complimenti da solo.

I ragazzi di Omphalos

Affermazioni del 2014

Al centro del processo sono finite le affermazioni fatte da Pillon in tre incontri a Bastia Umbra ed Assisi, San Marino e Ascoli Piceno tra giugno e novembre del 2014, quando Pillon era consigliere nazionale del Forum delle Associazioni familiari: il giudice unico lo ha condannato a pagare una multa di 1500 euro, nonché a risarcire in sede civile lo stesso circolo e un suo attivista, assegnando provvisionali ‘immediatamente esecutive’ di 20 mila euro a Omphalos e 10 mila a Michele Mommi, subordinando il loro pagamento alla sospensione della pena.

«Lo rifarei, sì»

Il senatore ha assistito in aula alla lettura della sentenza, poi ha dichiarato: «Difendere le famiglie dall’indottrinamento costa caro ma è solo un primo grado, non una sentenza definitiva. Ci sarà spazio per appello e Cassazione. Se difendere le famiglie che non vogliono che i loro figli siano indottrinati con i gender porta a queste conseguenze credo ci sia un problema serio di libertà d’opinione nel nostro Paese. Se rifarei certe affrmazioni? Certo che sì». Ma quali sono queste affermazioni? In pratica Pillon aveva accusato le associazioni di fare proselitismo omosessuale attraverso un opuscolo informativo sulle malattie sessualmente trasmissibili.

Le parole incriminate

Parole finite poi sul web e che avevano portato alla denuncia da parte di Omphalos. Si parla di «diffusione di notizie non corrispondenti al vero sull’attività di informazione e prevenzione delle malattie veneree svolta dall’associazione, attribuendole iniziative e messaggi distorti». In particolare, sull’opuscolo per i giovani ‘Lo sapevi che?’ (sempre leggendo dal capo d’accusa) Pillon «affermava falsamente che fosse un invito ad avere rapporti omosessuali». Tra gli addebiti a Pillon quello di di avere sostenuto che l’associazione «avrebbe promosso una inculturazione della teoria gender ma anche di avere diffuso materiale pornografico». Il senatore è stato poi accusato di diffamazione sulla funzione del Welcome group, di cui Pillon scriveva: «Tanta gente non sa cosa sta succedendo. Se non siamo informati non possiamo fermarli». Parole e affermazioni che per il giudice di primo grado di Perugia rappresentano una diffamazione.

Esulta Omphalos

Sorrisi e abbracci tra gli attivisti di Omphalos, anche loro in aula con il presidente Stefano Bucaioni: «Giustizia è fatta nei confronti di un personaggio che ha fatto dell’odio per le persone omosessuali e transessuali la sua ragione di battaglia politica, utilizzeremo ogni centesimo del risarcimento per incrementare le iniziative contro il bullismo omofobico nelle scuole». Gabriele Piazzoni, segretario generale Arcigay ha aggiunto: «La condanna per diffamazione del senatore Pillon nei confronti del Comitato Arcigay di Perugia Omphalos è indubbiamente una buona notizia che finalmente bolla come criminale la condotta di quella persona. Questa sentenza purtroppo non può rimediare agli enormi danni che le dichiarazioni di Pillon hanno causato alle migliaia di ragazzi e ragazze che si sono visti negare le attività di prevenzione al bullismo omofobico da parte di tante scuole, intimidite dallo sproloquio assurdo del senatore. In questi anni infatti – ha aggiunto Piazzoni – le calunnie diffuse da Pillon e dai suoi discepoli hanno impedito che le istituzioni scolastiche affrontassero in modo serio il contrasto dell’ omofobia nelle scuole e l’educazione al rispetto delle differenze. Con questa sentenza confidiamo che dal Ministero dell’Istruzione fino all’ultima scuola della provincia italiana si possa finalmente porre la parola fine a questa paura irrazionale per teorie inesistenti che ora sappiamo essere fondata sulla falsità e sulla diffamazione».

Cambio di versione in poche ore

La gaffe social

C’è stata poi una coda pittoresca alla vicenda giudiziaria. Pillon ha infatti commentato sulla sua pagina ufficiale Facebook: «Sono stato condannato in primo grado per aver osato difendere la libertà educativa delle famiglie, che a quanto pare non possono più rifiutare l’indottrinamento gender propinato ai loro figli. Ricorreremo in appello, ma è proprio vero che certe condanne sono medaglie di guerra. Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario, diceva Orwell. Beh, io non mollo. E non mollerò mai». E sotto è comparso un commento («Forza Simo!») il cui autore era proprio Simone Pillon. Da qui è partito il tam tam social-giornalistico che sottolineava la gaffe. Il senatore prima ha ammesso di essere stato egli stesso a scriverlo (e di proposito), poi ha cambiato versione, dando la colpa ad uno dei ragazzi dello staff che ha scritto «senza accorgersi di essere loggato con la mia pagina».

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