Primarie Pd, Bracco: «Sostengo Verini»

L’ex parlamentare e presidente del consiglio regionale analizza la crisi del Pd, il futuro del centrosinistra e chiede «una rigenerazione democratica»

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di Fabrizio Felice Bracco
Ex parlamentare ed ex presidente del consiglio regionale dell’Umbria

Fabrizio Bracco

Quando ho pensato e poi contribuito a dare vita al Pd, tra il 2005 e il 2007, ero convinto di coronare un sogno che avevo coltivato per un decennio, e forse più: dare risposte ad un bisogno profondo della società italiana, che dopo la crisi della prima repubblica era rimasta impantanata in una lunga transizione, e ridare senso e valore alle storie e alle culture dell’universo progressista del nostro Novecento (il riformismo radicale della sinistra comunista e socialista, il solidarismo del cristianesimo sociale, la tematica dei diritti della sinistra liberale, il federalismo europeista di Spinelli, Rossi e Colorni…) che sembravano inaridirsi di fronte alle grandi trasformazioni che stavano cambiando il pianeta.

Rimanendo ben ancorati agli ideali e ai valori incarnati nella Costituzione repubblicana, si cercava con il Pd di innovare profondamente cultura politica, modelli organizzativi, forme di dialogo e interazione con la società e i suoi corpi intermedi, proposte di governo. Ma così non è stato. Il cammino che sembrava in discesa, dopo le primarie del 2007, improvvisamente è apparso una impervia salita, complice la gravissima crisi che ci ha travolto, ma anche le difficoltà che molti di noi hanno dimostrato nel liberarsi da vecchi paradigmi e da consumati comportamenti. Incapaci di vedere con chiarezza il nuovo abbiamo finito per ripiegare sul vecchio. Un po’ di Ds, un po’ di Margherita, ma senza i pregi e soltanto con i difetti dell’uno e dell’altro.

Le nostre difficoltà sono state tutte evidenti il 4 marzo, eppure queste erano stato annunciate già nel 2013 e nelle successive tornate amministrative, in cui è apparsa sempre più chiara la nostra incapacità di parlare alla società italiana. Abbiamo creduto che bastasse affidarsi ad un leader giovane e dinamico e utilizzare la rete con più assiduità, per stare dentro la modernità e superare i problemi. Il 2018 ha dimostrato che non era sufficiente. La democrazia non si fonda sul rapporto popolo-leader, né sull’idea di cittadini che in totale solitudine, davanti a una tastiera o con l’ iphone in mano, partecipano alla vita politica e comunicano con i ‘capi’. La democrazia vive e prospera nelle complesse dinamiche che si determinano tra cittadini, gruppi sociali, reti associativi, momenti di dialogo e confronto vero e attraverso le diverse forme di rappresentanza. Un Partito Democratico che voglia trasformare gli ideali, i bisogni, gli interessi, le aspirazioni e i desideri dei cittadini in un progetto capace di orientare i processi economici e sociali secondo i valori propri della sinistra, deve essere ben radicato in questa società e interpretarla.

Ma il partito–progetto e il partito–società che avremmo dovuto costruire a partire da questi presupposti si è trasformato in un partito-amministrazione, o come qualcuno ama dire partito di potere. Smarrito il progetto, ci siamo allontanati dalla società e ci siamo concentrati sul potere che così da strumento è divenuto fine. Il pluralismo di sensibilità culturali e storie diverse che si confrontano si è trasformato in cordate che si contendono quote, sempre più esigue, di potere. Si è diffuso il conformismo (come accondiscendenza ai leader di turno) e si è spenta la discussione.

Eppure del Pd abbiamo bisogno ancora di più oggi di fronte ai populismi ed ai sovranismi/nazionalismi, che sotto la spinta della strana coppia Trump-Putin e con la regia di Steve Bannon, si stanno diffondendo in Europa, e di fronte alla urgente necessità di trovare delle risposte alla acuta crisi che stanno attraversando la sinistra e le forze progressiste europee. In Italia per primi avevamo colto l’esaurirsi dei vecchi paradigmi della sinistra e avevamo cercato un nuova via, con il Pd. Ed oggi da qui dobbiamo ripartire , se vogliamo riorganizzare il vasto campo della sinistra e del centrosinistra, che è ammaccato, incerto, confuso, disperso, ma non è scomparso.

Purtroppo per come si è svolto il ‘congresso’ in Umbria, riducendosi soltanto alle primarie di domenica prossima, stiamo perdendo un’altra occasione (spero che diverso sia il congresso nazionale che si sta aprendo). La maggioranza del partito non ha voluto (o non ha potuto) discutere su cosa sia accaduto in Umbria in questi anni, sul perché delle nostre sconfitte, su come una parte degli elettori della sinistra e del centrosinistra abbiano trovato nel populismo dei Cinque Stelle e nelle brutali chiusure salviniane risposte alle loro speranze e alle loro rivendicazioni. Su quale progetto per l’Umbria e le sue città, che sono state così duramente colpite dalla crisi, e oggi indebolite e impoverite si trovano a fare i conti con i grandi processi avviati dalla globalizzazione.

Sono certo, conoscendo bene entrambi i candidati alla segreteria regionale, che chiunque vinca cercherà di recuperare questo deficit di riflessione, saprà ricostruire l’unità del partito su basi nuove (contrastando le cordate) e darà impulso alla ripresa del dialogo con la società regionale.

La mia scelta a favore di Walter Verini, al di là della persona di cui sono largamente note le qualità, la coerenza riformista e l’attenzione al dialogo sociale (peraltro presenti anche in Giampiero Bocci, con cui ho condiviso le battaglie per promuovere il progetto originario del Pd), nasce dalla sua proposta politica e dal contesto nel quale questa si inserisce. Quell’idea della ‘rigenerazione democratica’ che ha il sostegno di tantissimi giovani, alcuni dei quali vittime essi stessi in questi anni più o meno inconsapevoli degli scontri interni, ed ora pronti a rimettersi in gioco ed essere pienamente protagonisti di una nuova stagione di profondo rinnovamento del partito, nelle sue forme organizzative e nei suoi gruppi dirigenti, di riapertura di un serrato dialogo con la società umbra, di attenzione alla ricerca culturale e allo sviluppo di un pensiero nuovo, di un più intenso confronto con i corpi intermedi della società regionale (sindacati, associazioni datoriali, cooperative, mondo delle professioni, associazioni sociali e culturali…).

Il successo di questa proposta garantisce una forte discontinuità rispetto al recente passato con il superamento dei gruppi e delle lotte interne, verso una unità non fondata sulle spartizioni, ma sulla condivisione delle idee, del progetto e dei programmi. È un impegno di medio-lungo periodo che parte dalla necessità della ricostruzione, e che certamente, se affrontato unitariamente e in modo inclusivo dal partito e dai suoi sostenitori, potrà dare risultati positivi per la nostra regione e per le prospettive della sinistra nel paese.

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