Sangemini: «No agli esuberi, valutare tutti gli scenari possibili»

Fai, Flai e Uila dopo l’incontro al Mise: «Le risorse per evitare perdite di occupati ci sono». Rimane lo stato di agitazione

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di F.L.

Le e-mail ai lavoratori con allegato il decreto del tribunale di Milano sono iniziate ad arrivare, via posta certificata, a ridosso dell’incontro svolto venerdì, in sede ministeriale, tra le segreterie nazionali di categoria e l’azienda: è finalmente noto il piano industriale di Acque Minerali d’Italia – gruppo del quale fanno parte anche i marchi umbri Sangemini e Amerino – ammessa al concordato in continuità. Una delle parti più attese era ovviamente quella legata all’occupazione e conferma le indiscrezioni fin qui emerse: è prevista, per tutto il gruppo, una riduzione del personale aziendale oggi in eccesso, pari a 76 unità circa su 355. Numeri rispetto ai quali Fai, Flai e Uila dell’Umbria chiedono chiarezza e non nascondono la loro preoccupazione.

I dettagli

La riduzione del personale avverrà al termine del periodo massimo di utilizzo degli ammortizzatori sociali, attraverso una procedura di licenziamento collettivo, per un risparmio per le casse dell’azienda di circa 3 milioni 600 mila euro su base annua. La società ha già comunque accontanto 3 milioni 300 mila euro come fondo rischi a titolo di incentivo all’esodo in caso di esito negativo delle negoziazione collettive relative al licenziamento. Non viene formalmente specificato, nel decreto, quali saranno i marchi direttamente interessati agli esuberi, anche se le stesse voci fin qui emerse le hanno ricondotte a Sangemini e Gaudianello. In un passaggio del documento si sottolinea come per Ami – in una situazione di «crisi profonda» nata a seguito del proprio «processo di espansione territoriale» -, la gestione si è «aggravata per i finanziamenti accollati o accesi per l’acquisto dei rami aziendali relativi agli stabilimenti posti nel centro-sud Italia». E sempre alla Sangemini (acquisita a costo zero e nei primi anni di fatto autogestita dai lavoratori) si addebbitano – tra le cause della crisi – «costi di marketing e di comunicazione per riposizionare sul mercato il brand», così come «costi straordinari» sostenuti, nel corso del 2018, per un accordo sindacale «finalizzato all’assorbimento o all’esubero di personale».

Previsioni tra luci e ombre

Nel corso dei cinque anni sono comunque previsti anche degli interventi di manutenzione straordinaria degli impianti produttivi con investimenti quantificati complessivamente in 6 milioni 900 mila euro per gli stabilimenti di Valli del Pasubio (Norda), Primaluna e Sangemini. Razionalizzazione dei costi di struttura (principalmente marketing e commerciali) e assunzione di un graduale incremento delle vendite sono le basi su cui si fonda il piano che, secondo quanto affermato dalla società, è stato redatto in un’ottica «prudenziale» e si sviluppa su cinque anni dalla presunta data dell’omologa – il 6 settembre è prevista l’udienza dei creditori – e quindi si presuppone fino al 31 dicembre 2026. Per incrementare le marginalità operative lorde Ami «sta implementando un processo più attento di approvvigionamento delle materie prime», mentre in ordine ai volumi e ai ricavi netti di vendita lo stesso piano prevede «un incremento graduale dei ricavi a partire dalla seconda metà del 2021», quando si presuppone vi sarà una ripresa delle vendite. Il raggiungimento dei livelli precedenti alla crisi pandemica è stato però ipotizzato «soltanto nel 2026». La società, comunque, a partire dal 2021 riprenderà l’attività promozionale per «aumentare volumi di vendite e recuperare le quote di mercato perse». Ami ha poi implementato un processo per risparmiare sui formati e le etichette per l’imbottigliamento, di cui si attende un positivo impatto sul piano, ed è stata prevista la riduzione di circa 800 mila euro dei costi connessi alle consulenze esterne. A fronte di questo, per migliorare l’organizzazione strutturale, è previsto l’inserimento di un direttore finanziario, di un direttore di stabilimento e di un direttore operativo oltre ad un direttore delle risorse umane, con un incremento dei costi di circa 700 mila.

L’apporto dei fondi

Fondamentale per la riuscita del piano sarà l’ingresso dei fondi investitori Clessidra e del gruppo Magnetar, che avranno una partecipazione pari all’80% del capitale della società attraverso la sottoscrizione di un aumento di capitale per un importo complessivo «pari a non meno di 48 milioni 500 mila». L’apporto di Clessidra sarà di 15 milioni di euro e quello dei fondi Magnetar di 35 milioni. Ami utilizzerà l’aumento di capitale, per una porzione pari a 37 milioni di euro, per il pagamento del debito prededucibile e privilegiato da soddisfare entro un anno. Per continuare ad usufruire delle concessioni per l’estrazione dell’acqua la società è stata intanto autorizzata al pagamento delle somme dovute ai fornitori strategici, a cui deve anche arretrati per l’estrazione dell’acqua che imbottiglia, e che nel caso della Regione Umbria, su un totale di circa un milione di euro, ammontano a poco più di 180 mila euro.

I sindacati: «Si rispettino gli accordi»

Venerdì, come detto, si è svolto il tavolo al Mise relativo alla vertenza – che non ha chiarito quali siti saranno interessati dagli esuberi -, al termine del quale Fai Cisl, Flai Cgil e Uila Uil dell’Umbria, sentite le segreterie nazionali, esprimono «forte preoccupazione per quanto affermato». «Come evidenziato dall’azienda – scrivono – gli esuberi sarebbero 76 su tutto il gruppo, riteniamo che a livello metodologico e per una gestione virtuosa e quantomeno corretta delle relazioni industriali prima della dichiarazione di esuberi si dovrebbe entrare nel merito del piano. È imprescindibile per le parti sociali comprendere la direzione che l’azienda intende percorrere». Le tre sigle sottolineano che i «siti di Sangemini e Amerino, avendo posto fiducia in Ami e nello sviluppo dei siti, hanno già affrontato grandi sacrifici rinunciando a parte dei loro stipendi». «Gli accordi che erano stato siglati nel 2014 e nel 2018 a garanzia delle concessioni e a salvaguardia dell’occupazione, con l’apertura degli ammortizzatori sociali – sottolineano -, prevedevano investimenti e mantenimento totale degli occupati fino al 2024. Chiediamo il rispetto di quanto stipulato in quegli accordi, per cui i lavoratori si sono e si stanno fortemente sacrificando. Ricordiamo, in questo senso, che gli investimenti previsti non sono stati mai realizzati». Sempre a detta di Flai, Fai e Uila «le risorse per evitare ingenti perdite nei siti ci sono: gli ammortizzatori sociali per le aree di crisi complessa e i fondi dedicati ai marchi storici. Non possiamo lasciare che si perdano posti di lavoro all’interno di questi stabilimenti, riferimenti importantissimi per un territorio in crisi».

Il nuovo incontro al Mise e le iniziative sindacali

Per discutere di questi temi è stato richiesto il coinvolgimento delle istituzioni regionali e locali, in attesa ed in preparazione del prossimo incontro presso il tavolo ministeriale che si terrà entro la fine di marzo. «In questa fase risulta fondamentale il rispetto del patto per il territorio, siglato lo scorso settembre presso il comune di San Gemini, nei suoi obiettivi principali il mantenimento occupazionale e lo sviluppo produttivo. Si auspica che, nel caso in cui il piano industriale non risultasse solido e in grado di creare sviluppo economico sul territorio, la procedura valuti tutti gli eventuali scenari possibili, nel rispetto delle vie istituzionali». Le organizzazioni sindacali ribadiscono lo stato di agitazione e annunciano che nei prossimi giorni si valuteranno iniziative sindacali.

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