Terni, ristrutturazione di Ast non è finita

Giovedì sera arrivano 5 mila tonnellate di ‘bramme’ da Aperam e il 7 ottobre al Mise – se la Regione non chiederà un rinvio – si parlerà di nuovi tagli

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di M.T.

Cinquemila tonnellate, un’inezia per la ThyssenKrupp Ast di Terni. Ma comunque un segnale. Perché l’allarme lanciato mercoledì dalla Uilm non sembra proprio un ‘al lupo, al lupo’ qualsiasi.

Le ‘bramme’ Sarebbe infatti questo il quantitativo di acciaio, in ‘bramme’ grezze (grosse lamiere che vengono poi trattate al laminatoio a caldo e trasformate in rotoli), in arrivo. Giovedì sera dovrebbe essere a Terni, per entrare in stabilimento venerdì mattina. E spedirlo a Terni è stata la Aperam, per conto della quale, questa è la versione che viene fatta circolare dal management, le brame saranno solo trattate ‘a caldo’, per poi ripartire in forma di rotoli, sempre grezzi.

I dubbi Il materiale, peraltro, sarebbe anche di buona qualità – acciaio ‘Aisi 304’ e ‘Aisi 316’ – ma è chiaro che per la Thyssenkrupp Ast di Terni questa lavorazione non rappresenta un esempio di business in senso assoluto – il guadagno inciderà in maniera minimale sul bilancio aziendale – quanto un test in vista magari di sviluppi futuri di ‘lavorazione in conto terzi’ e, pure, un segnale chiaro all’esterno. E questo alimenta i dubbi.

La convocazione

La convocazione

Il Mise Perché la nuova convocazione al Mise per il 7 ottobre prossimo (sempre che la Regione non chieda, come sembra potrebbe fare, un rinvio) ne ha fatti sorgere altri, che ripropongono per intero la questione relativa al futuro – nemmeno troppo lontano – del sito ternano. Detta in breve, potrebbe non essere per niente vero che «la ristrutturazione è terminata», come era stato garantito, sempre al Mise, il 5 agosto scorso, quando il ministro Calenda manco si fece vedere, mentre i rumors fanno pensare ad un annuncio di tutt’altro genere.

Nuovi tagli Le ipotesi sono, al momento, due: una viene definita soft e riproporrebbe la necessità, da parte della ThyssenKrupp Ast di Terni di ‘liberarsi, di un buon numero di impiegati – circola anche un numero, 180 – considerati di troppo fin da quando si chiuse la drammatica vertenza del 2014; mentre quella più hard arriva ad ipotizzare una drastica riduzione della turnistica su uno dei due forni dai quali esce quel milione – scarso – di acciaio prodotto a Terni. Ipotesi che riproporrebbe per intero le questioni relative alla sopravvivenza stessa di quel forno – l’ad Burelli era stato chiaro, al riguardo, quando spiegò che il suo funzionamento non è un dogma – sul quale da tempo pende una ‘spada di Damocle’ bella grossa.

 

 

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