Terni, utero in affitto: coppia a processo

Imputati i genitori di un bimbo nato a Kiev attraverso la maternità surrogata. Per l’accusa avrebbero falsificato l’atto di nascita. Loro: «In Ucraina procedura legittima»

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di F.L.

L’esodo verso l’estero vede ogni anno protagoniste centinaia e centinaia di coppie italiane sterili, decise comunque a realizzare il loro desiderio di avere un figlio. Si chiama tecnicamente maternità surrogata, conosciuta più comunemente anche come pratica dell’utero in affitto, vietata in Italia dalla legge 40 ma concessa in molti altri Paesi, europei e non. Tra questi anche l’Ucraina dove, proprio per diventare genitori, si sono recati qualche anno fa due coniugi ternani, ora finiti a processo per quella procedura così controversa, non riconosciuta dallo Stato italiano.

Le procedure Il gup di Terni Federico Bona Galvagno ha infatti rinviato a giudizio marito e moglie, entrambi accusati del reato di alterazione di stato. Un’ipotesi che prevede la reclusione da cinque a 15 anni per chiunque, nella formazione di un atto di nascita, «altera lo stato civile di un neonato, mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità ». La storia è questa: la coppia si è recata a Kiev dopo aver individuato una donna del posto disposta a mettere al mondo un bambino per conto dei due ‘genitori committenti’ (così li definisce la legge). L’ovulo della gestante – che è dunque la madre biologica del neonato – è stato quindi fecondato in provetta dal seme dell’uomo della coppia e poi impiantato nell’utero. Una procedura legittima, riconosciuta almeno in Ucraina, ma che ha messo nei guai i due genitori una volta trascritto in Italia l’atto di nascita.

L’accusa La segnalazione alle autorità italiane è arrivata infatti dall’ambasciata italiana a Kiev, che al momento della registrazione del documento ha indicato il caso come sospetto. Ne è nato il procedimento aperto dalla magistratura ternana – visto che la coppia e il bambino sono residenti a Terni – che contesta ai due genitori di aver fornito informazioni false all’ufficiale di stato civile ucraino. «Circostanza che non è avvenuta – commenta il legale dei due imputati, l’avvocato Stefano Minucci -, in quanto per la legge ucraina la pratica è perfettamente legittima e la gestante può acconsentire affinché il neonato venga riconosciuto figlio della coppia committente. Dunque non c’è stato bisogno di alcuna falsificazione di alcun documento».

La giurisprudenza Vista la delicatezza del caso, per accertare i fatti il giudice Bona Galvagno ha comunque ritenuto necessario un approfondimento dibattimentale, rimettendo al fascicolo al giudice monocratico, davanti al quale a metà settembre inizierà il processo. A favore della difesa ci sono le pronunce di altri tribunali e della Cassazione, che nel 2016, relativamente ad un caso identico avvenuto sempre in Ucraina, ha dichiarato la non sussistenza del reato. Intanto il bambino, come atto dovuto, è stato riconosciuto parte lesa nel procedimento. Ad assisterlo è l’avvocato Francesca Carcascio.

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