Ascanio Celestini: «Ecco il mio Gesù»

«Un Cristo che ha molti dubbi, non pensa, osserva», nel monologo più umano che spirituale messo in scena a Perugia

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L.P.

Vita di un povero Cristo. Con ‘Laika’, Ascanio Celestini torna a far tappa a Perugia, ospite del Teatro Stabile, con uno spettacolo che ha già registrato sold out fino a domenica 31 gennaio.

locandina - Copia

La locandina dello spettacolo

Laika Una scenografia che è più un’inquadratura, luci soffuse, in scena un monologo di un’ora e mezza e la fisarmonica di Giuiano Casadei. Il racconto che, in Laika, in scena al Morlacchi fino al 31 gennaio, Celestini fa di Dio è quello di una divinità più umana che spirituale, un Gesù che neanche sa di essere tale e si confonde appresso a barboni, vecchie e prostitute che animano la vita di un quartiere affacciato sul parcheggio di un supermercato.

Le storie E mentre cerca di raccontare a Pietro, il musicista che lo accompagna sul palco, com’è là fuori il mondo, Gesù si perde in mille racconti, quelli degli ultimi, dei facchini che con le loro mani sorreggono la volta celeste, di prostitute che riflettono sul senso del lavoro, di una vecchia che prega perché persa tra i ricordi intrecciati della sua memoria e di un barbone che si lava nudo a una fontella.

Gesù «L’idea che abbiamo avuto è di mettere in scena un dialogo, un monologo. Insomma sulla scena c’è un Cristo e un Pietro. – racconta Celestini – Ma è un Cristo che ha molti dubbi, non pensa, osserva. Un Gesù Cristo letterario. Tutti noi abbiamo il diritto di interpretare questi testi sacri in modo letterario, allo stesso modo con cui oggi leggiamo l’Iliade senza pensare Zeus veniva considerato una divinità». Due personaggi letterari, come tramandati dalla tradizione orale, Cristo e San Pietro vanno in giro e ci racconto il mondo degli ultimi.

Gli ultimi Un punto di vista privilegiato, spesso indagato, troppo conosciuto. Quello degli ultimi è, per Celestini, un racconto ricorrente. «Questa idea degli ultimi in realtà è un’idea ‘riccocentrica’  – afferma l’autore – come chiamiamo gli altri abitanti dell’estremo oriente quando è solo una questione di punti di vista. Gli ultimi sono ultimi, sì, ma per chi? Per chi si considera primo nella società. Il barbone sta tra gli ultimi per Bruno Vespa che lo fa morire nel suo plastico ogni sera alle 11.30. E allora gli ultimi sono i poveri, secondo la distribuzione sociale legata a quello che preme di più alla maggior parte delle persone, cioè la ricchezza».

Umanità Un fronte oggi sempre più ampio, quello della povertà. «E se il problema non fosse tra gli ultimi ma tra i primi? Io trovo che in questi personaggi ci sia un grado di umanità più leggibile. L’uomo in senso antropologico è più vicino al barbone che ha perso tutto e che mantiene solo la sua umanità. Lo trovo più interessante, a livello antropologico più che politico. L’uomo sta più lì che nel presidente di un consiglio d’amministrazione, c’è un’umanità più leggibile».

Pubblico Come sempre, tra risate e applausi, Celestini conquista Perugia. «Assieme a Gianluca Casadei, il musicista che mi accompagna, è sempre difficile capire dove sta il pubblico. Quanto è lontano, in che maniera risponde. Nella sua architettura ogni teatro produce un’accoglienza diversa. Siamo sempre in attesa di vedere come reagisce la gente nelle piccole pause. In questo caso c’è un crescendo, il pubblico a mano a mano che entra nello spettacolo lo accoglie, lo abbraccia, si affeziona».

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