Da Narni alle Cronache di Narnia: la storia e le leggende della città

Video e testo – Montagne Misteriose ci porta nei luoghi simbolo del Narnese. A partire dal monte Santa Croce

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di Montagne Misteriose (clicca qui per iscriverti al canale Youtube)

Il Monte Santa Croce, da sempre presente come un maestoso e possente gigante, si trova di fronte all’abitato dell’antica Narnia.

Prima di entrare nel vivo delle nostre ricerche è molto importante citare la grande frequentazione passata di questa montagna, fin dalla preistoria. La famosa grotta dei Cocci ci ha direttamente riconsegnato tracce certe che questa montagna e queste terre erano abitate sin dal periodo Neolitico fino all’età del bronzo. Il Neolitico è un periodo storico della preistoria, l’ultimo dei tre che costituiscono l’età della pietra.

La grotta dei Cocci, sul monte Santa Croce, ha restituito reperti, visionabili al museo Eroli di Narni e riferibili dall’età del Neolitico e a quella del Bronzo. Luogo di rito e di culto, fu probabilmente frequentata da genti provenienti da altri territori dell’Appennino a testimonianza, già da allora, di un’area dove avvenivano scambi culturali. Venne scoperta casualmente da un gruppo di speleologi narnesi nel 1954, UTEC NARNI, un gruppo ancora attivo. Nel corso degli anni venne più volte saccheggiata dei reperti che si trovavano al suo interno.

In una data ancora difficile da definire, popolazioni di cultura Appenninica e di probabile origine indoeuropea, gli Osco-Umbri, dopo grandi migrazioni si stabilirono nella zona, fondendo la loro cultura con quella dei cacciatori raccoglitori che già vivevano in queste terre. Fonti riportano che diedero nome al loro insediamento Nequinum Nahars.

Nel 300 a.C. la cittadella rientrò negli interessi di Roma, che stava espandendo i suoi territori e la fece assediare con il console Quinto Appuleio Pansa ottenendo tuttavia risultati infruttuosi vista la sua impervia e strategica posizione.

Ci volle oltre un anno per compiere l’impresa, avvenuta nel 299 a.C. grazie al tradimento di due persone locali che permisero ai Romani l’ingresso tra le mura. Divenne così colonia romana e centro strategico lungo la via consolare Flaminia.

Per punire il sostegno dato ai Galli durante la guerra del Sentino, e considerando Nequinum di cattivo auspicio (in latino, nequeo significa ‘non posso’ e nequitia significa inutilità’), i romani cambiarono il nome della città in latino: Narnia, dal nome del vicino fiume Nar, Nahar, l’attuale Nera. La battaglia del Sentino, detta anche delle nazioni, nel 295 a.C., durante la terza guerra Sannitica, si oppose all’esercito romano con un’alleanza avversa di popolazioni italiche, composta da Etruschi, Sanniti, Galli Senoni ed Umbri.

Non si hanno molte notizie relative al periodo Romano, si pensa però che la città potesse aver avuto un ruolo di una certa importanza durante il corso delle prime due guerre puniche.

Lungo il fiume Nera, nei pressi della frazione di Stifone dove anticamente si trovava il porto della città romana, è stato infatti recentemente individuato il sito archeologico di quello che appare come un cantiere navale romano. Dell’antica navigabilità del fiume Nera si hanno peraltro notizie su Strabone e Tacito.

Divenne Municipium nel 90 a.C. mentre nell’anno 30 d.C. vi nacque Nerva, ultimo italico tra gli imperatori romani. Nerva nacque presso l’antica colonia romana di Narnia, nella Regio VI Umbria. Nerva, secondo Tacito, nel suo breve regno fuse le idee di impero, libertà e pace, dando inizio a un secolo poi considerato d’oro.

Una leggenda legata alle opere che sono sopravvissute fino ai giorni nostri del periodo romano viene raccontata così:
La favola del tesoro del ponte d’Augusto
«[…] Nel volgo narnese è tradizione che il tesoro consista in una gran biocca (chioccia) d’oro, che tiene sotto le ali mille pulcini ugualmente d’oro, che il diavolo lo ha in custodia e tristo a chi lo tocca. Anzi, narrarono alcuni che, nello scavare, lo videro improvvisamente comparire in pelle e ossa con tanto di corna e di coda bernoccoluta, con orecchie d’asino, le mani e i piedi terribilmente unghiati, occhi di fuoco, zanne di porco, tutto nero sconcio peloso, e tanto orribile e pauroso da far venire l’asima e la quartana; che al suo apparire tremò la terra, divenne nero e buio il cielo, traendo un vento impetuoso da schiantar alberi e case, e poi acqua giù a dirotto, folta grandine, tuoni, fulmini… insomma un vero inferno, per cui gli scavatori se la danno a gambe .[…] Questo racconto è fola, ma pure penso che abbia qualche sostanza di verità. Gli antichi usavano mettere nelle fondamenta degli edifici pubblici di qualche importanza alcune monete che ricordassero ai posteri l’epoca della loro costruzione; e così avrà di certo fatto Augusto nel ponte. La memoria di questo fatto è sempre stata nelle bocche dei narnesi; ma, come succede che le tradizioni, invecchiando, si sformano, e l’immaginazione o l’altrui piacevolezza le ingigantisce e colorisce, così le poche monete realmente poste a fondo per Augusto si moltiplicarono a parole, e tante da farne un tesoro, che poi cambiò la forma prosaica in poetica, ed ecco la gigantesca gallina coi pulcini d’oro; ma alcuni con immaginazione fervida vollero aggiungere […] un dramma semitragico spettacoloso, ed ecco il diavolo spaventevole, la strepitosa e amara sinfonia, la fuga precipitosa».

Le opere di ingegneria romana sono ancora visibili nella zona. Il ponte d’Augusto citato dalle fonti classiche, raffigurato da artisti e viaggiatori, vero capolavoro dell’architettura romana, è da porre in relazione alle grandi ristrutturazioni volute da Augusto nel 27 a.C., lungo il percorso della strada Flaminia.

L’acquedotto della Formina, secondo un’epigrafe riportata da padre Ferdinando Brusoni, nel XVIII secolo dovrebbe essere stato costruito da Marco Coccio Nerva, avo dell’imperatore omonimo. L’acquedotto raccoglieva le acque di sette sorgenti lungo un percorso di 13 chilometri.

Il cantiere navale di Stifone è un sito archeologico che si suppone di origine addirittura Umbra. Rinvenuto nel 1969 in Umbria in località Le Mole del comune di Narni, all’interno di un canale artificiale adiacente al corso del Nera, circa 900 metri più a valle rispetto alla frazione di Stifone. La sua posizione è a ridosso di quello che era il porto fluviale dell’antica Narnia. Alcuni di questi resti sono ancora visibili nell’alveo del fiume.

Tutte queste opere del periodo della romanizzazione hanno mantenuto un’ottimo stato di conservazione diventando monumenti e luoghi di interesse storico.

Una leggenda narnese vuole che in epoca medioevale, nel territorio tra Narni e Perugia, ci fosse un Grifone contro il quale le due città, tra loro comunque in guerra, si erano coalizzate. Una volta ucciso, come trofeo Perugia si tenne le ossa del Grifone (bianca) e Narni la pelle (rossa).

Il monte Santa Croce vide Nequinum diventare Narnia, che a sua volta divenne Narni, passando per i Romani con il porto e l’arsenale di Stifone ed infine, ma non ultimo, su questa montagna troviamo il castello di Montoro, con il suo toponimo derivante da un’ipotetica miniera d’oro. In zona sono stati rinvenuti numerosi reperti fossili che lo fanno collocare, nei tempi antichissimi, al confine tra terra e mare. Inoltre, vi è stato rinvenuto anche il fossile di un mastodonte.

Nella località Marinata è stata trovata una fossa dedicata all’incenerimento di resti umani, probabilmente utilizzata da una numerosa colonia di villanoviani provenienti da settentrione. In tempi storici, anche gli Umbri, gli Etruschi ed i Romani lasciarono tracce del loro insediamento.

Montoro Vecchio probabilmente nasce un secolo prima dell’attuale Montoro, costruito dai Bizantini per difendere e controllare il loro corridoio. Corridoio Bizantino è la denominazione informale con cui è noto il Ducato di Perugia (in latino: Ducatus Perusiae), comprendente una stretta fascia territoriale dell’Esarcato d’Italia, appartenente oggi alle regioni Umbria, Lazio e Marche. Questo territorio rivestì un ruolo strategico cruciale per l’Impero romano d’Oriente in Italia, poiché consentiva il collegamento tra Ravenna e Roma attraverso la Via Amerina. Nel 1527 i Lanzichenecchi si fermarono proprio sotto il paese e furono attaccati dai Narnesi che non intendevano offrirgli ospitalità dopo quanto successo al sacco di Roma. In seguito a questo attacco i Lanzichenecchi distrussero completamente il paese e successivamente conquistarono Narni rendendosi protagonisti di atroci misfatti durante il sacco della città.

Una leggenda parla di un tesoro depositato e sepolto proprio in questa zona dai Lanzichenecchi durante il loro passaggio. Che sia perso ancora tra questa montagna rimane un mistero.

Presente e continua è la frequentazione religiosa con monaci ed eremiti, basta pensare all’abbazia benedettina del X secolo di San Cassiano, ancora adesso centro di ritiro e preghiera. L’abbazia è ubicata sulle pendici scoscese del monte Santa Croce, non distante dall’imboccatura della gola del fiume Nera, in una posizione che domina l’antico tracciato della via Flaminia tra Narni Scalo e Stifone.

L’eremo di San Jago, una grotta adattata nel 1200 come monastero di eremitaggio. Lungo le pareti, nelle vicinanze di questa grotta, si possono trovare altre grotticelle nelle quali i frati andavano a meditare. Quest’area è molto simile a quella che troviamo a Spoleto sul monte Luco. Riconducibile e legato attraverso testi antichi al Sant’Jago de Compostela. Ma di ciò non si hanno notizie certe. Raggiungerlo non è cosa facile, il sentiero si snoda tra la fitta vegetazione del monte poco visibile, e durante il cammino ci si imbatte in diverse diramazioni.

Una leggenda racconta di due innamorati. La dama che viveva a San Cassiano veniva raggiunta di notte dal suo amante. Questo amore proibito e nascosto, avveniva grazie ad un cunicolo che dalla grotta dell’Eremita conduceva fin dentro l’abbazia. Purtroppo questo passaggio non è ancora stato trovato.

Il perduto e ritrovato eremo di Santa Betta o monastero di San Giovanni. Sicuramente di stampo francescano. Di questo monastero non è stata rintracciata documentazione né si hanno notizie. Sopra al monastero si trova una grotta, probabilmente pertinente al primo insediamento eremitico. Il sentiero fino all’eremo non è agevole; si può salire da Stifone ma si può anche partire da Montoro. Siamo a conoscenza di una leggenda su questo monastero. Si racconta che nei pressi del convento si trovi una pietra al suolo levigata. Questa pietra è opera dell’inginocchiarsi dei frati durante la preghiera. Durante le continue e lunghe meditazioni, la pietra ha assunto le sembianze di una mezzaluna. Sicuramente la montagna nasconde, persi qua e là, altri misteriosi luoghi di preghiera o di rifugio, carichi di storia.

Infine intorno al 1700 l’uso estrattivo effettuato direttamente nelle grotte alla ricerca del minerale di ferro trasformandole miniere. La più famosa di esse è la grotta dello Svizzero. Lo stato pontificio che aveva un grande bisogno di ferro per la costruzione delle palle di cannone e altri manufatti, pensò che in sostituzione delle miniere di Spoleto potesse essere utilizzato il materiale del monte Santa Croce sopra Stifone.

Inizialmente si pensava che nel monte si celasse un enorme bacino sotterraneo, tesi avvalorata dalla presenza di una strana sorgente denominata ‘della Carestia’ in quanto sembra che compaia l’anno precedente ad una carestia o ad una grave calamità. Il poeta Marziale ricorda la sua posizione arroccata sopra le gole del fiume Nera, il cui nome, con una singolare antitesi rispetto al significato apparente, nella lingua dei Sabini voleva dire ‘fiume del colore dello zolfo’, cioè bianco. «Narnia, circondata da un bianco fiume dai gorghi sulfurei, accessibile a fatica tra una doppia catena di monti […] che tu possa sempre usufruire del tuo ponte». Marziale VII, 93.

Le fonti ci raccontano di una leggenda che all’inizio del V sec. d.C. un gruppo di aruspici etruschi, ultimi rappresentanti della loro istituzione, difesero la città dai barbari di Alarico invocando la comparsa di un muro di fulmini. Probabilmente fu proprio questa aura di mistero che aleggia attorno alla città che spinse Clive Staples Lewis a intitolare la sua raccolta di racconti per ragazzi ‘Le cronache di Narnia’, anche se sembra che lo scrittore inglese non vi abbia mai messo piede. TUttavia descrisse i luoghi di quel mondo immaginario in modo molto simile alla realtà del territorio narnese e dei suoi affascinanti ambienti che lo circondano. La Narnia leggendaria dei romanzi di Lewis, che con le sue Cronache ci ha fatto sognare mondi incantati, ad oggi ha fatto conoscere una città, Narni, al mondo intero, dimostrando che a volte le favole, le leggende e i miti possiedono un fondo di verità. Una terra immaginata esiste davvero.

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