Investire nel vino: il ‘nettare degli Dei’ per diversificare i propri risparmi

Gianni Giardinieri ci illustra pregi e difetti delle operazioni finanziarie legate ai più costosi vini del mondo

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di Gianni Giardinieri
Senior financial advisor Allianz Bank – Terni

Il tema non potrebbe essere più attinente al periodo, visto che sono giorni di festa e quindi di bevute. Parliamo del vino, il ‘nettare degli Dei’ come si usava chiamarlo nell’antichità, insieme all’idromele (la più antica bevanda alcolica, prodotta dalla fermentazione del miele). Accanto alla consumazione, da decenni esiste un mercato delle quotazioni delle più prestigiose bottiglie di vino che ,come le azioni e i bonds, sono soggette a variazioni più o meno marcate. Nel caso del vino i prezzi generalmente variano di anno in anno e sono determinati da due grandi ‘poli’ di riferimento: da un lato il vero e proprio mercato regolamentato, basato a Londra e chiamato ‘Liv-Ex’ – ovvero London International Vintners Exchange – e dall’altro la costante ‘battitura’ nelle più prestigiose case d’asta mondiali.

Sul Liv-Ex avvengono il 90% degli scambi di vino pregiato, ma è un mercato riservato a compratori e venditori professionali, quindi chiuso all’investitore privato. Spesso, come per l’oro fisico, lo scambio tra domanda e offerta avviene senza spostare fisicamente la bottiglia, che resta stoccata al suo posto.

Comprare vino da investimento è particolarmente complicato: è un mercato molto specialistico e per coloro che scegliessero la via dello stoccaggio in proprio, comporta anche una logistica non indifferente. Anche i rendimenti non sono eccezionali, parliamo di pochi punti percentuali nel corso di più anni (poco più del 3% annuo lordo negli ultimi cinque anni), però ci sono due aspetti, da un punto di vista finanziario, non indifferenti: la grande diversificazione che offre questo asset, molto decorrelato da tutti gli altri, e la sostanziale esenzione da imposte sul guadagno maturato.

Un elemento di grande importanza, come per tutti gli investimenti in genere, è poi la ‘liquidabilità’ della bottiglia, cioè la capacità di rivendita in tempi brevi e con quotazioni tra domanda e offerta molto vicine. Ovviamente investire nel vino significa poter incorrere anche in grandi perdite in conto capitale. Si pensi ai vari inconvenienti quali la deperibilità, il furto, la rottura accidentale e non ultimo il deprezzamento in sé del prodotto in termini di attrattiva sul mercato. Ma quanto può costare comprare bottiglie di vino? Attualmente, il primato spetta al ‘Romanée-Conti grand cru’ (rosso) dell’omonima tenuta in Borgogna, annata 1945, battuto ad un’asta di Sotheby’s nel 2018 alla modica cifra di 558 mila euro (75 cl). Pervasi da un cinismo senza fine abbiamo calcolato il prezzo al centilitro: 7.440 euro. Piuttosto caro, considerando che se voleste accontentarvi di un calice dello stesso vino e della stessa casata – ma annata contemporanea -, potreste cavarvela con ‘soli’ 1.200 euro (probabilmente sareste serviti rigorosamente al ‘banco’ e senza stuzzichini).

E per i vini italiani, invece? Nessun di questi rientra nella top ten assoluta, pur essendo mediamente la nostra produzione nazionale di alto livello. Il 2023, poi, non è stato un grande anno in termini di prezzi battuti all’asta per i vini della penisola. Il primato spetta ad un Barolo Collina Rionda Riserva del 1978, prodotto dall’azienda Bruno Giacosa, aggiudicato per 4.417 dollari ad un’asta negli Usa, agli inizi di settembre. Nelle prime posizioni anche un Sassicaia, un Barbaresco e l’immancabile Brunello di Montalcino (annata 1990 dell’azienda Scidera Case Basse) battuto a poco più di 3.400 euro.

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