Pur di non rispettare l’ordine del giudice, Katalin ha scelto di distruggere la vita. Carcere confermato

Il gip di Perugia ha convalidato il fermo e confermato la misura più restrittiva

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Una tensione profonda e antica, esplosa nell’orrore compiuto venerdì a Città della Pieve (Perugia) dopo che il giudice – in Ungheria – aveva deciso di affidare il piccolo Alex al padre. Il giornale ungherese Blikk ricostruisce alcuni passi della vicenda che ha portato in Italia Katalin Bradács e il figlio di 2 anni, ucciso a coltellate e poi portato dentro il supermercato della frazione di Po’ Bandino. Dove di fronte agli addetti e ai clienti presenti – atterriti – la donna ha chiesto aiuto, fingendo di averlo ritrovato in mezzo all’erba poco lontano da lì e dicendo – almeno inizialmente – di non essere la madre. Non era così e Blikk ha scavato nel rapporto fra la donna e il marito, intervistando László Kalmár, uno dei responsabili di un’associazione – con cui il padre di Alex è in contatto da tempo – che tutela i diritti dei padri. Nel contempo il padre del piccolo, Norbert, si è sfogato parlando ai quotidiani umbri: «Me lo ha rapito. Poi lo ha ucciso e lo ha confessato in un messaggio ad un amico».

Alex e la reazione fuori luogo della madre per quel gioco banale: le avvisaglie del dramma

L’odio sfociato in un orrore incredibile

Secondo quanto ricostruito, dopo che il tribunale ungherese aveva imposto che padre e figlio vivessero insieme, nel contesto di un rapporto, quello fra Katalin e il marito, che non sarebbe mai stato sereno, la donna era scomparsa. Con tanto di segnalazione alla polizia ungherese. Per il rappresentante dell’associazione – testimone dell’assurdo episodio dell’invio al padre della foto di Alex ferito a morte, con tanto di messaggio -, la polizia magiara avrebbe potuto fare di più, anziché limitarsi ad una sola nota: ovvero spostare le ricerche ad un livello internazionale. «Invano – afferma Kalmàr – ho spiegato a Katalin che non poteva fare nulla contro la decisione del giudice, semplicemente non capiva».

Katalin Bradács e il piccolo Alex

La richiesta di soldi: «Una perdita di tempo»

Dopo l’arrivo in Italia della donna, i contatti non si sarebbero interrotti del tutto. Aveva anche chiesto l’invio di 45 mila fiorini ungheresi, poco più di 1.200 euro, per tornare in Italia: «Ma era solo una perdita di tempo», aggiunge il rappresentante dell’associazione vicina ai padri e a quello di Alex. Poi Katalin è giunta in Umbria, ospite di un amico di vecchia data di quando lavorava nei nightclub. Fingeva di non avere problemi particolari ma il suo piano – estremamente lucido secondo gli inquirenti – prevedeva anche questo, dissimulare per poi uccidere la sua creatura. Arrivando ad un punto di orrore tale da distruggere una vita dietro l’altra pur di non riconsegnare il bimbo al padre, come gli aveva imposto la legge.

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Le parole di Norbert Juhász: «Me lo ha rapito»

Il padre del piccolo Alex, Norbert Juhász, ha parlato del dramma che lo ha colpito nelle interviste concesse a Il Corriere dell’Umbria ed a Il Messaggero a firma Francesca Marruco e Michele Milletti: «Ha rapito il mio Alex il giorno in cui avrebbe dovuto consegnarmelo perché il tribunale lo aveva affidato a me, è scappata in Italia e lo ha ucciso e poi ha confessato di averlo ammazzato in un messaggio a un amico. Lui mi ha chiamato ed è andato subito alla polizia ungherese, ma era già troppo tardi. Katalin gli ha anche mandato una foto del bimbo pieno di sangue e ha scritto adesso non sarà più di nessuno». L’uomo è netto quando gli viene chiesto se Katalin fosse contenta di quel figlio: «No, durante la gravidanza si dava le botte alla pancia e qualche volta non sentiva più il bambino. Poi assumeva dei farmaci steroidei. Le avevano tolto anche il figlio più grande, che adesso è maggiorenne e vive in Ungheria».

La donna non risponde al Gip

La 44enne lunedì mattina – difesa dall’avvocaro Enrico Renzoni – si è avvalsa della facoltà non di rispondere davanti al gip Angela Avila. Ha comunque ribadito di non essere la responsabile della tragica fine del piccolo Alex e che, una volta tornata nel Paese d’origine, lo avrebbe riportato al padre. La procura ha chiesto la convalida del fermo per omicidio volontario aggravato e il tribunale, nel primo pomeriggio, ha reso nota la sua decisione: fermo convalidato e custodia cautelare in carcere confermata.

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