Quei like da Perugia per il Vescovo Giulietti

Il ministro col solito canovaccio mette alla berlina l’ex ausiliare di Bassetti, ma in tanti prendono le difese del prelato. Anche fra i fedelissimi di Romizi (che governa con la Lega)

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di Red. Pg.

Stavolta Matteo Salvini se la prende con il vescovo di Lucca Paolo Giulietti ‘reo’ di aver aderito alla campagna di Libera (guidata del prete antimafia don Luigi Ciotti) la disumanità non può diventare legge contro il decreto Sicurezza, in particolare per i suoi effetti dissuasivi nei confronti delle operazioni di salvataggio in mare (due emendamenti prevedono l’arresto per i capitani delle navi che resistono alle intimazioni di navi militari e una multa fino a un milione di euro per le navi che trasgrediscono il diritto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali). Ma la levata di scudi in favore dell’ex ausiliare di Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, è trasversale.

La strategia social

Lo schema è grosso modo sempre lo stesso: se un personaggio pubblico critica un suo provvedimento o un suo atteggiamento, Salvini lo mette alla berlina attraverso i suoi profili social, gestiti dal social media manager Luca Merisi, associandolo all’area politica avversa, quasi sempre il Pd, acronimo che nelle sue varianti e deformazioni sembra diventato sinonimo di insulto sui social. E poco importa se, come quasi sempre, il personaggio al centro degli attacchi non abbia nulla a che vedere con la politica e tantomeno col Pd, tanto basta per etichettarlo e gettarlo in pasto ai commenti del popolo social, che quasi mai si preoccupa di verificare la correttezza di quanto viene scritto.

I post di Salvini contro Giulietti

La foto incriminata

Aderendo alla campagna di Libera, monsignor Giulietti si è fatto fotografare con un cartello dove si legge «La disumanità non può essere legge». La foto è finita sui giornali (in particolare su ‘Il Tirreno’) e da lì sui social, caricata da una attivista del Carroccio. Il ministro l’ha ripresa, aggiungendoci il carico: «Il vescovo di Lucca testimonial del PD contro il Decreto Sicurezza Bis». E sotto, a segnare la differenza fra la chiesa ‘buona’ e la chiesa ‘cattia’: «Mi confortano le decine di messaggi di sostegno che ricevo ogni giorno da donne e uomini di Chiesa, attenti a quello che succede nella realtà».

Corto circuito mediatico

Rispettando il consueto canovaccio, la notizia dai social è tornata sulla stampa, innanzitutto online, che inevitabilmente riprende le sortite mediatiche del ministro, un po’ per l’effettiva importanza giornalistica, un po’ per il cortocircuito che ormai si è creato fra testate, social e commenti vari, che si rincorrono in un infinito gioco al rimpiattino.

Calabrese dalla parte di Giulietti

Levata di scudi pro Giulietti

Però stavolta la cosa sembra essersi ritorta contro il ministro perché i commenti negativi hanno superato di gran lunga quelli positivi. In Umbria, innanzitutto, dove Giulietti è trasversalmente riconosciuto come personalità apprezzata e al di sopra delle parti, ma anche nel resto d’Italia. E provengono anche da ambienti politici teoricamente assai lontani dal Pd. A Perugia, ad esempio, spicca quello di Francesco Calabrese, ex assessore della giunta Romizi, ora a trazione leghista, che ha scelto in primavera di non ricandidarsi.

Piede sull’acceleratore

E così – sempre secondo copione – Salvini messo alle strette anziché fare retromarcia ha rincarato la dose: «Al vescovo-politico, nuovo eroe della sinistra – ha scritto il vicepremier su Twitter e Facebook – mi permetto di dire che l’unica disumanità è quella di chi, in questi anni, con le porte aperte all’invasione, ha ingrassato il business del trafficanti di schiavi e ha reso l’Italia un Paese e meno sicuro». E poi: «Indietro non si torna: la MANGIATOIA dell’immigrazione clandestina è FI-NI-TA! (scritto proprio così; ndr)».

Il post dell’autore vicino a Romizi

E sull’argomento è intervenuto anche Matteo Grandi, giornalista, scritto, autore televisivo e opinion leader sul web, fra l’altro anch’egli molto vicino all’amministrazione Romizi, tanto da aver curato – nel quinquennio appena trascorso – la comunicazione dell’ente ed essere stato nella rosa dei nomi, fino all’ultimo, per entrare in giunta come assessore esterno. La stessa giunta dove avrebbe trovato almeno 5 leghisti.

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