Terni, 10 anni senza Marianna: «Dolore e rabbia ancora vivi»

Parlano i familiari della 35enne uccisa con un colpo di fucile dal compagno Giuliano Marchetti. Era il 23 marzo 2011. «Donne, ribellatevi a chi vuole rovinare le vostre vite»

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«Sono passati dieci anni dalla morte di Marianna e la sensazione, leggendo i giornali, guardando la tv, è che poco o nulla sia cambiato. Anche qui, come altrove, le donne continuano ad essere aggredite, offese, minacciate, picchiate, purtroppo anche uccise da chi dovrebbe amarle».

Omicidio efferato

A parlare sono i familiari di Marianna Vecchione, la 35enne ternana freddata con un colpo di fucile a bruciapelo il 23 marzo del 2011 dal compagno Giuliano Marchetti. Un omicidio avvenuto fra le mura dell’abitazione di via Brodolini dove la donna, 35 anni appena, che lavorava come cameriera in un ristorante, viveva con i figli piccoli – due, presenti in casa al momento del delitto – avuti da colui che le avrebbe poi tolto la vita al culmine di una banale lite domestica.

«Ribellatevi e denunciate. Prima che sia tardi»

«Marianna ci manca tanto, a tutti – dice il fratello Maurizio – e il vuoto che ha lasciato in noi, strappata alla vita in quel modo, non potrà mai essere colmato. Alle donne, a coloro che subiscono spesso senza trovare la forza di ribellarsi, mi sento di dire solo una cosa: denunciate, liberatevi da chi rovina le vostre vite. Prima che sia tardi».

«Legge troppo ‘blanda’ per chi fa del male»

«La sensazione – dicono i familiari – è che la legge, ancora oggi, sia troppo ‘blanda’. Per chi si trova a dover fare i conti con un marito, un compagno, un fidanzato e talvolta un semplice spasimante che conosce solo il verbo della violenza, spesso le misure partono da ammonimenti, divieti di avvicinarsi. Ma se c’è la volontà di fare male, di colpire, questi provvedimenti vengono spesso aggirati. Serve una maggiore tutela legislativa, perché di storie come quella di Marianna ne abbiamo lette e sentite sin troppe. Serve la certezza della pena».

Semilibertà per l’omicida

Ecco, la certezza della pena. L’omicida, Giuliano Marchetti, ternano che lavorava come cassiere in un supermercato e poi condannato – il 2012 in primo grado, il 2013 in appello e il 2015 in via definitiva – a 16 anni di reclusione per omicidio volontario, dal 30 giugno del 2020 è stato trasferito alla Terza Casa di Rebibbia (Roma) perché gli è stata concessa la semilibertà. In questi giorni è in licenza premio. Prima di Roma, è stato in carcere a Terni e quindi ad Orvieto.

«Messaggio sbagliato»

«Sinceramente – afferma Maurizio – non ci capacitiamo come dopo così poco tempo dall’omicidio di Marianna, siano state concesse determinate possibilità. Nulla intendo dire sul percorso di recupero ma mettetevi nei nostri panni: l’assassino, di carcere se n’è fatto relativamente poco, considerando anche i domiciliari che ha avuto fino al giudizio della Cassazione. Ed ora è in semilibertà. Che messaggio mandiamo? Credo che la lotta contro fatti gravi come le violenze sulle donne debba partire anche da questi aspetti, legislativi, penali e sociali. Togliere la vita ad una persona è la cosa più barbara che esista. Nel modo in cui è accaduto a Marianna, poi, fa orrore e rabbia al tempo stesso. Credo che tutti noi dobbiamo agire con coraggio, per lei e per le tante, troppe persone che sono vittime di un odio cieco e che, invece, vorrebbero solo vivere serenamente le proprie vite».

«Quando pagherà fino in fondo per ciò che ha fatto?»

Ancora più netto Massimiliano Vecchione, fratello di Marianna: «A dieci anni di distanza da uno dei più brutti anniversari della mia vita, ancora oggi mi ritrovo ad analizzare la parola ‘amore’. Purtroppo esistono delinquenti che si nascondono dietro il sentimento più nobile per giustificare le proprie azioni: non c’è alcuna forma di amore dietro le brutalità di chi arriva ad uccidere la madre dei propri figli, sparandole dall’alto verso il basso a mo’ di esecuzione. Pensavo di potermi rifugiare nelle istituzioni e alleviare un minimo il dolore che provo, credendo in un sistema che sapesse trattare tali delinquenti. Perché è vero che tutti dobbiamo avere una seconda possibilità e magari una terza e una quarta ma, a mio avviso, questo può accadere quando lo sbaglio è rimediabile, anche se grave. Io non ho mai voluto o sperato in una pena esemplare ma semplicemente in una pena giusta. Quello che ho scoperto nella mia disgrazia – conclude Massimiliano – è che il sistema giustizia ancora asseconda questi ‘mostri’ concedendo loro licenze premio e benefici. Il mio pensiero va a mia sorella, a tutte le donne ed ai figli che sono alle prese con individui del genere, ad un sistema che non è stato ancora capace di proteggere il diritto alla vita delle nostre madri».

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