Terni, «Beni comuni per uscire dalla crisi»

Venerdì pomeriggio, alla Bct, si è tenuto un seminario formativo per creare una cittadinanza che lavori con le amministrazioni nella gestione e valorizzazione del territorio

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di A.V.

L’Italia è un paese in crisi, si sa, e troppo spesso si ha la sensazione di essere fermi, immobilizzati, bloccati in una situazione che non accenna a fare il più piccolo passo. Ma non è così. C’è una speranza, c’è il modo per rimetterci in piedi e ripartire e lo strumento per farcela sono i ‘beni comuni’. Questo è l’argomento di cui si è discusso durante il seminario formativo ‘Ripartire dai beni comuni. Le possibilità di un nuovo sviluppo legate alla gestione condivisa dei beni comuni’, organizzato al Caffè letterario della Bct, venerdì pomeriggio. 

Nuova educazione civica Nella sala gremita del Caffè letterario, il vice presidente della Regione Umbria, Fabio Paparelli, ha introdotto l’argomento spiegando come la nostra regione sia piena di beni culturali caduti in disuso e non. «Ci sono teatri, case cantoniere – dice – e moltissimi altri beni che rischiano di cadere nel dimenticatoio, ma soprattutto di andare in rovina e creare solo costi. Invece questi devono produrre un valore e se sono i cittadini a riqualificarli, allora i cittadini diventano un valore aggiunto. Soprattutto in questo momento post-sisma. Le città sono luoghi privilegiati, infatti noi con ‘l’Agenda urbana’ stiamo cercando di creare uno sviluppo sostenibile e inclusivo per migliorare la qualità della vita, ma è fondamentale che ci sia anche una nuova educazione civica. Le persone devono capire che anche se un bene non è il loro possono comunque riqualificarlo e tenerlo con cura e non trattarlo male. Quello che faremo oggi in questo seminario sarà quindi cercare di delineare nuovi percorsi per arrivare preparati a quelle che saranno le sfide della modernità».

LE PAROLE DI PAOLO FONTANA E GREGORIO ARENA – VIDEO

Ripartire dai beni comuni Partendo dal titolo del convegno, Gregorio Arena, presidente Labsus (Laboratorio per la sussidiarietà), ha iniziato a spiegare come i beni comuni siano un modo per uscire dallo stallo in cui si trova l’Italia a causa della crisi. Tutto sta secondo lui nel ricostruire legami comunitari, per questo nel 2014 con Labsus, ha presentato a Bologna il ‘regolamento’ per la gestione dei beni comuni. Da questa prima ‘bozza’ sono nati grandissimi risultati per questo ha deciso a malincuore di andare in pensione, era professore all’Università di Trento, per dedicarsi completamente ai beni comuni e ora si definisce ‘giurista di strada’. «Quello che è iniziato – spiega – è un processo che va avanti da solo. Perché succeda di preciso non lo so, ma so che le persone hanno bisogno di sentirsi efficaci e devono avere dei risultati concreti. È questo che li porta ad uscire di casa, a organizzarsi tra sconosciuti e a prendersi cura di un bene. In questo modo non sono più tanto estranei, anzi spesso si stringono dei legami strettissimi». È in questo modo quindi che iniziano a ricrearsi i legami di comunità. Arena ha anche portato dei dati. Secondo l’ultimo censimento dell’Istat ci sono tre milioni di volontari individuali. Questo è un fenomeno sempre più in crescita, ed un fenomeno che si alimenta da solo, che cresce da solo. «Noi con il regolamento – aggiunge il professore – abbiamo solo dato uno strumento a un movimento che già c’era». 

La cura «Se non c’è un regolamento ‘prendersi cura’ dei beni e illegale. Ma non possiamo permetterci di perdere queste energie che fanno manutenzione. Ma non ci piace chiamarla manutenzione, è prendersi cura di un bene». Questo, ci tiene a spiegare, non è un modo per supplire alle mancanze dell’amministrazione, tutt’altro. «Basta leggere l’articolo 1 della nostra Costituzione. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». È proprio questo il punto. I cittadini quando si prendono cura del posto dove vivono diventano sovrani. L’amministrazione è nata da poco, è un’istituzione nuova, prima sono sempre state le persone a occuparsi del luogo dove vivevano». Questo modo di operare quindi non è un rimedio, bensì un modo di essere cittadini e «quando le persone si attivano e ricostruiscono la comunità, allora, come dicono i sociologi, formano capitale umano».  

Il capitale umano «Dopo secoli di spietata individualità si torna insieme, si ricrea una comunità compatta e – sottolinea Arena – il fatto che tutti insieme ci si prenda cura dei beni dà fiducia e tutto ciò libera energie. Proprio per questo abbiamo creato questo regolamento, questo patto. Non lo abbiamo proposto come legge perché altrimenti sarebbe stato uguale per tutti e magari quello che abbiamo pensato noi non è proprio perfetto. Abbiamo deciso di fare così perché contavamo succedesse quello che poi è successo: ogni comunità che lo ha adottato ha fatto della aggiunte, lo ha migliorato. Quindi esistono 11 Comuni con 11 patti diversi. È questo patto di comunità che permette che si scatenino energie e l’energia fa si che si innovi».

Innovazione Secondo il professore ci sono solo due modi di innovare: o come è successo con la creazione del touch screen, quindi con l’azienda che ha la grade idea, «ma questo può succedere una volta», oppure combinando in maniera inedita cose note (come ad esempio la creazione del trolley). «Ogni volta che un Comune adotta il patto ne nasce uno nuovo. È come la tavolozza di un pittore: combinando insieme colori diversi si ottengono risultati diversi e questo porta allo sviluppo. Tutto questo succede grazie a un mix perfetto: quello di egoismo e solidarietà perché i cittadini che si prendono cura di un bene lo fanno perché sono egoisti e vogliono tenerlo bene, ma questo egoismo si trasforma in solidarietà verso tutti quelli che non hanno fatto nulla. Costruire una comunità è un valore aggiunto; dobbiamo preservare questo modo di essere cittadini».

Beni abbandonati Ma c’è di più. Infatti, Arena ha toccato poi il tasto dei beni abbandonati. «In Italia – dice – sono tantissimi. La nostra nazione è piena di relitti. Se li recuperassimo otterremmo due grandi risultati: daremmo moltissimi posti di lavoro ed eviteremmo lo spreco di territorio. In questo modo creeremmo un vero e proprio volano di sviluppo».

Sibec L’obiettivo della giornata in Bct lo spiega perfettamente Paolo Fontana, Euricse (European Research Institute on Cooperative and Social Enterprises). «L’obiettivo è promuovere l’attività di Sibec, la Scuola italiana beni comuni. Un progetto che Euricse e Labsus hanno voluto per cercare di promuovere le competenze necessarie a cittadini, amministrazioni pubbliche, imprese sociali e no profit per occuparsi dei beni comuni: come gestirli, come renderli operativi e come rigenerare il tessuto urbano che spesso è abbandonato o è in difficoltà in questi anni di crisi».

Il progetto L’idea è stata finanziata dalla Regione Umbria con risorse Fse 2014-2020 e risponde alla richiesta di Anci Umbria di avviare una fase di approfondimento e formazione sul tema ‘Beni Comuni e Amministrazione Condivisa’ rispetto al quale, la cittadinanza attiva, diventa una risorsa che lavora con le amministrazioni nella gestione e valorizzazione del territorio. Un tema sempre più centrale anche per le politiche dell’Unione europea.

La tavola rotonda Finite le introduzioni, la giornata è andata avanti con la tavola rotonda: ‘Pubblico e privato insieme per cogliere le opportunità offerte dai beni comuni’, moderata da Alessandra Valastro, Università di Perugia. Le conclusioni sono state affidate alla vice sindaco Francesca Malafoglia: «Questa è un’occasione per tutti i Comuni, non solo regionali, per parlare di come si possono trovare nuovi strumenti e nuove forme per  stare in comunità. Serve un sistema d relazione per riposizionare il ruolo del pubblico e del privato. L’impegno, la condivisione e la conoscenza sono gli strumenti giusti per ripartire. Labsus e Euricse hanno creato questo modello di programma di relazioni tra comunità, uso dei beni pubblici e funzione pubblica e di azione dei singoli beni a cui la città di Terni ha aderito, adottando il ‘regolamento’ nel 2015». 

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