Unioni civili, Rossi (Pd): «Convintamente sì»

Terni, il senatore si dice «a favore di tutte le norme che introdurranno più diritti civili ed elimineranno l’insopportabile permanenza di etichette sociali e cittadini di serie B»

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di Gianluca Rossi
Senatore del Partito Democratico

Da qualche giorno ricevo moltissime email, come tutti i senatori, tutte pressoché simili, che mi ricordano il mio “dovere di onorare la Costituzione nel caso della imminente discussione su quella legge ingannatrice che va sotto il nome di ddl Cirinnà. Le ricordiamo il dovere di onorare l’articolo 29 della Costituzione che definisce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, altre spiegano che “votare questa legge significa agevolare un oscuro disegno di distruzione dei rapporti familiari per isolare e manipolare le persone, disegno sostenuto da lobby politiche, finanziarie e culturali per togliere dignità e autonomia alle persone e ai popoli. Lei dovrà assumersi in prima persona, nei confronti di ogni cittadino, la responsabilità delle conseguenze di questa legge. Lei non potrà mai dire non potevo sapere. Lei, da quale parte vuole stare?”

Rispondo brevemente, visto che sono uno dei firmatari del ddl in questione.

Prima di scrivere, sono andato a rileggermi i lavori della Costituente (li trovate qui e consiglio vivamente la lettura), che alla fine del 1946 si trova a discutere della famiglia. In molti descrivono questo articolo uno dei più grandi compromessi tra DC e PCI. Il testo proposto dal relatore democristiano, Camillo Corsanego, diceva: «Lo Stato riconosce la famiglia come la unità naturale e fondamentale della società, con i suoi diritti originari inalienabili e imprescrittibili concernenti la sua costituzione, la sua finalità e la sua difesa».

L’altra relatrice, Nilde Iotti proponeva invece: «Lo Stato riconosce e tutela la famiglia, quale fondamento della prosperità materiale e morale dei cittadini e della Nazione».

Due visioni politicamente opposte, che necessitarono l’intervento di Togliatti e Moro per la ricerca di un compromesso. I nodi da sciogliere erano la parità tra uomo e donna nel matrimonio, quella tra figli legittimi ed illegittimi, l’educazione dei figli e, ovviamente, l’indissolubilità del matrimonio.

Quest’ultima venne “congelata” dallo stesso Togliatti, stando ai resoconti parlamentari dell’epoca, per favorire l’accordo e anche perché lo stesso PCI appariva diviso sull’argomento. Ovviamente le famiglie omosessuali non erano un tema all’ordine del giorno nel 1946. Ma se vogliamo provare ad attualizzare la discussione, possiamo ben partire dalle parole dell’Onorevole Moro, che il 5 novembre ‘46, secondo il resoconto della seduta riferisce: “quando si dice che la famiglia è una società naturale, non ci si deve riferire immediatamente al vincolo sacramentale; si vuole riconoscere che la famiglia nelle sue fasi iniziali è una società naturale. Afferma quindi che, pur essendo molto caro ai democristiani il concetto del vincolo sacramentale nella famiglia, questo non impedisce di raffigurare anche una famiglia, comunque costituita, come una società che, presentando determinati caratteri di stabilità e di funzionalità umana, possa inserirsi nella vita sociale. Mettendo da parte il vincolo sacramentale, si può raffigurare la famiglia nella sua struttura come una società complessa non soltanto di interessi e di affetti, ma soprattutto dotata di una propria consistenza che trascende i vincoli che possono solo temporaneamente tenere unite due persone”.

Una famiglia non è quindi definita solamente dal vincolo sacramentale né tantomeno dalla “naturalità” intesa come “regola della natura” (ammesso e non concesso che la natura ci voglia eterosessuali!), bensì dall’essere una società complessa non soltanto di interessi e di affetti, ma soprattutto dotata di una propria consistenza che trascende i vincoli che possono solo temporaneamente tenere unite due persone.

Per quanto mi riguarda, la “consistenza che trascende i vincoli” sono l’amore ed il desiderio di due persone di essere unite, avere un progetto comune, vivere insieme sotto lo stesso tetto tutti i giorni della propria vita, demandare al partner le decisioni in caso di malattia, incapacità, infermità o morte, consentire l’eredità, avere figli. Una famiglia. Indipendentemente dal loro sesso.

Il nostro Paese è uno dei pochi in Europa che ancora nega a una fetta consistente della sua popolazione il diritto di sposare la persona che ama. E questa è un’ ineguaglianza che non può continuare. Il riconoscimento giuridico di famiglie gay non “leva” diritti a quelle tradizionali e proprio per questo non viola l’articolo 29 della Costituzione. Al contrario, il fatto che l’articolo privilegi quelle fondate sul matrimonio, non può e non deve significare che il dettato costituzionale discrimini altre formazioni familiari. Altrimenti sarebbero violati l’articolo 2 che sancisce l’uguaglianza dei cittadini, l’articolo 3 che riconosce il dovere della Repubblica di garantire i diritti inviolabili dell’uomo e molti altri.

E quindi, sì, mi ricorderò di onorare la Costituzione – repubblicana, laica e democratica – votando convintamente a favore delle unioni civili e tutte le altre norme che introdurranno più diritti civili nel nostro Paese ed elimineranno l’insopportabile permanenza di etichette sociali e cittadini di serie B.

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