Terni, omicidio Raggi: «Nessuna attenuante»

Sentenza vicina. Gli amici e i familiari chiedono giustizia: senza rabbia ma con la fermezza di chi si aspetta una pena esemplare

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di F.T.

Dignità: è quella con cui i familiari e gli amici di David Raggi hanno affrontato ogni singolo momento, da quella tragica notte in piazza dell’Olmo – un giovedì che sembrava come tanti altri – in cui la mano assassina di Amine Aassoul, clandestino in Italia, gli ha portato via ciò che avevano di più caro.

I FUNERALI DI DAVID RAGGI

Il processo E con la stessa dignità sono pronti ad affrontare uno dei momenti più duri da quel maledetto 12 marzo: il processo che porterà alla condanna del 29enne marocchino. E se da un lato si tratta di un passaggio obbligato per ottenere quella giustizia che chiedono da sei mesi – senza rabbia ma con la fermezza di chi si aspetta una pena esemplare -, dall’altro li porterà a rivivere sulla propria pelle uno dei momenti più bui, per loro e l’intera comunità ternana.

TERNI RICORDA DAVID

In tribunale La sentenza nei confronti di Amine Aassoul è attesa per martedì 29 settembre, quando il giovane magrebino – detenuto nel carcere di Spoleto – comparirà di fronte al gip Simona Tordelli per il processo a porte chiuse, con rito abbreviato, che si concluderà quasi sicuramente lo stesso pomeriggio.

LA CITTA’ SCENDE IN STRADA PER DAVID

«Ci saremo» Lì ci saranno anche loro, gli amici e i familiari di David, per primo il fratello Diego che in questi mesi, con una forza d’animo straordinaria, ha avuto – lui – sempre una parola di conforto per tutti. Martedì raggiungeranno il tribunale di buon mattino, indossando quella maglia che ritrae David felice, in mezzo all’infinità di un panorama e una frase che dice tutto: «La cosa più grande che tu possa imparare è amare e lasciarti amare».

Sempre accanto Gli stessi amici che non hanno mai smesso di ricordarlo e che, oggi come ieri, soffrono da cani a non poter avere più accanto David, non poterlo abbracciare, bere un bicchiere e ridere e scherzare con lui che di spirito ne aveva da vendere. Una voglia di ‘vita’, da spendere per sé ma anche e soprattutto per gli altri. A parlare per loro è Benedetta.

Il ricordo «Sono passati sei mesi – racconta – e a volte sembrano anni, altre un solo giorno. Perché se è vero che le lacrime smettono di scendere copiose, dentro la ferita non si rimargina. Sai, quando dicono: ‘il tempo guarisce, aggiusta tutto’. Non è vero. Cominci a sopravvivere, perché devi lavorare e la routine prende il sopravvento. Ma manca, manca come l’aria. Ogni giorno, in tutto ciò che facciamo, il pensiero va a lui».

Gli amici «La nostra piccola forza – dice Benedetta – è stare insieme. Siamo un bel gruppo e proviamo a sentirlo sempre con noi, anche se non avere più uno dei suoi abbracci, un suo messaggio, la sua spiccata ironia, ti fa stare male di brutto. So che sono frasi fatte, ma è come quando ti strappano via qualcosa che è tuo, che ti contraddistingue, come se staccassero una spina che non potrà mai riattivarsi e quella parte di te è morta con lui. Provi a ridere a essere ciò che lui voleva, perché non si risparmiava mai con le persone che amava, ma è difficile, è difficile quando l’unico modo per ‘starci insieme’ è andare davanti alla sua tomba e stare lì, parlargli e lui ti guarda da quella foto sicuramente dicendo: ‘Ciucca ma vai… ma poi che capelli porti?!’».

Il processo «Io, noi, siamo coscienti che nessuno ce lo ridarà mai indietro. Vogliamo solamente che almeno questa volta non esistano attenuanti. Perché non ce ne sono. Non ce ne sono se uno fugge, si toglie la maglia insanguinata, picchia i poliziotti: una persona del genere è in grado di intendere e di volere. Perciò non vogliamo che tra pochi anni possa ritrovarsi libero, libero di vivere quella vita che ha tolto a David, così, a caso».

Responsabilità Con la stessa fermezza, ma senza perdere il suo atteggiamento sereno, Benedetta chiede che venga fatta finalmente luce sulle responsabilità. «Ci dicano una volta per tutte perché l’omicida era in Italia nonostante fosse clandestino. Qualcuno avrà messo una firma, non è possibile che non esistano responsabilità. Questa non è una ‘lotta agli stranieri’, ci tengo a ribadirlo, ma l’integrazione a cui tutti auspichiamo non è questa. Di persone buone e cattive ce ne sono ovunque, senza differenza di etnie. Credo fermamente che la razza sia una ed è quella degli esseri umani. Ma chi sbaglia deve pagare, perché David non è morto per un incidente o una malattia. Sarebbe bello poter raccontare ai nostri figli, ai nipoti che davvero, per una volta i cattivi hanno pagato e che lo ‘zio’, perché lui sarà sempre uno ‘zio’ speciale anche per tutti i nostri bambini già nati e che verranno, in qualche modo ha vinto ed ha avuto giustizia».

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