«Come è morto Stefano a Londra?»

Lo sfogo di Angelo, il padre del giovane perugino deceduto la notte di Natale in circostanze misteriose: «A marzo sarebbe tornato per sempre in Italia»

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L.P.

«La precisa causa del decesso deve ancora essere stabilita». Porta la firma ME Hassel, il senior coroner del dipartimento di Londra nord, il certificato di morte che ha accompagnato in Italia la salma di Stefano Proietti, il giovane originario di Perugia che si era trasferito a Londra da una decina d’anni e che è stato trovato morto, riverso in una pozza di sangue, all’interno della sua stanza all’Edward Gibbons House, una struttura pubblica che offre assistenza a chi ne ha bisogno.

Stefano Proietti

Il giovane Una morta avvenuta in circostanze sospette, secondo Walter Biscotti, il legale che assiste la famiglia di Stefano Proietti che da anni viveva nella capitale inglese e che da qualche tempo era andato a vivere nella clinica. Un passato con qualche problema di droga, la promessa fatta al papà di aver smesso, il lavoro da cameriere la sera e le consegne di volantini, la voglia di rientrare a casa, per sempre. «Non era riuscito a venire per Natale – racconta oggi la famiglia – ma aveva intenzione di tornare a Perugia per sempre».

Gli interrogativi La sua, oggi, è una famiglia distrutta. Non hanno solo perso un figlio, al dolore si aggiunge lo strazio per non sapere che cosa è successo a Stefano. «Come ha vissuto le sue ultime ore, chi lo ha visto per l’ultima volta, come stava, che cosa è successo?» si domanda il papà, Angelo che ha scoperto la morte del figlio attraverso una telefonata, quando il 27 dicembre scorso lo ha chiamato il consolato. «Mi hanno impedito di partire subito – racconta – così per una settimana siamo rimasti in attesa in preda al panico, senza poterci capire nulla. Era impossibile parlare col consolato di Londra, allora tramite l’avvocato ci siamo informati attraverso la Farnesina per capire quando e come sarei potuto partire. Fare i biglietti, nel periodo di Capodanno, è stata un’impresa, ma alla fine sono partito da Pisa il 4 gennaio e siamo tornati il 7. Ho visto Stefano solo il 5 pomeriggio, era già vestito dentro alla bara».

Il certificato rilasciato dal coroner inglese

La clinica E’ questo l’ultimo ricordo di un padre. Il sei gennaio è entrato nella stanza dove Stefano dormiva all’Edward Gibbons House, una struttura pubblica a metà tra ostello e clinica che segue chi ha problemi di dipendenze. A vederlo da fuori ma anche da dentro sembra una struttura a cinque stelle, con una hall, una stanza computer, un posto pulito e accogliente, con un direttore e un capostruttura, un capoturno per ogni ora e gli infermieri, racconta.

Un testimone «Un suo amico mi ha riferito che Stefano si era sentito male tra il 20 e il 22, non ha saputo dire il giorno specifico, e ha detto che era andato all’ospedale. Poi è sicuramente tornato nella sua abitazione e nessuno sa che cosa sia successo dopo. Perché se Stefano stava male nessuno mi ha contattato? Quella struttura aveva il mio numero, perché nessuno si è messo in contatto con la famiglia di Stefano?». Le cause della morte devono ancora accertate, scrive il magistrato che indaga sulle morti sospette e l’esito dell’autopsia non sarà divulgato prima di qualche mese. Quello che è certo è che Stefano è morto dissanguato all’interno della stanza numero 27 nel grosso edificio a mattoncini in Parmiter Street.

La stanza numero 27 «Mi avevano detto che mi avrebbero dato un’interprete e invece non sono riuscito a parlare con nessuno. Dietro la porta c’era una macchina di sangue, forse ha provato a chiedere aiuto, ma a chi? Le lenzuola non c’erano più, ipotizzo le abbiano tolte. Quando sono andato a prendere gli effetti personali di mio figlio non sono riuscito a parlare con nessuno, chi l’ha visto per ultimo, come stava…Non so niente», racconta tra le lacrime. Ora a lavorare sul caso è il legale della famiglia, Walter Biscotti, che ha assunto un collega a Londra per portare avanti tutti gli accertamenti. In primis scoprire se per davvero Stefano si era andato all’ospedale e, eventualmente, capire quanto ci è rimasto, che cosa avesse e perché sia stato dimesso. E poi che cosa è successo in quella stanza? Nessuno avrebbe dovuto controllare? «Stefano potrebbe essere morto anche prima della notte di Natale e se ne potrebbero essere accorti anche giorni dopo».

Il rientro «Oltre al dolore rimane la rabbia – racconta oggi Angelo – la disperazione per un figlio che non c’è più e l’impossibilità di sapere la verità. Avevo comprato il biglietto, andata e ritorno, per Natale, sarebbe dovuto arrivare il 7 dicembre. Poi mi ha chiamato scusandosi e dicendomi che non poteva raggiungerci per le feste. ‘Ti rimando i soldi, papà’ mi aveva detto, ma gli risposi di non preoccuparsi. Mia moglie non è autosufficiente, non la posso abbandonare, ma se lei fosse stata bene lo avremmo raggiunto noi per festeggiare assieme il Natale». Poi una telefonata il 23 dicembre. «Stava bene, aveva parlato con la mamma, una telefonata breve per scambiarci gli auguri», racconta. Ora di Stefano, oltre agli interrogativi, rimane solo il ricordo. «So che voleva tornare in Italia, per sempre – dice con un filo di voce Angelo – da tanto, troppo tempo era lontano dalla famiglia. L’ultima volta che lo abbiamo visto è stato a Pasqua, era felice, sorrideva, con il fratello erano andati in visita alla basilica di Assisi. Vogliamo sapere com’è morto – conclude – e se qualcuno ha delle responsabilità».

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