Lite per la cappella, Comune condannato

A Giove, in provincia di Terni, l’amministrazione dovrà risarcire una cittadina dopo un contenzioso arrivato al Tar

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di Umberto Maiorca

La caparra per la cappella funeraria al cimitero comunale finisce in tribunale. L’azione legale è stata proposta da una signora, assistita dagli avvocati Paolo Maria Codovini e Giuseppe Nuzzo, contro il Comune di Giove (non costituito in giudizio) dopo l’annullamento di una concessione edilizia nell’area cimiteriale e la mancata restituzione della somma versata dalla donna.

La storia Il 23 giugno del 2008 gli uffici comunali rilasciavano una «concessione di area cimiteriale per la realizzazione di una cappella funeraria. Si provvedeva contestualmente al versamento di una somma pari ad euro 6.000, a titolo di canone concessorio. Il relativo disciplinare di concessione prevedeva l’inizio dei lavori entro 36 mesi eventualmente prorogabili di ulteriori 12 mesi». Quasi due anni dopo, il 27 marzo 2010, la titolare della concessione «dichiarava nella sostanza di rinunziare alla predetta concessione chiedendo, al tempo stesso, la restituzione delle somme già versate». Come era suo diritto, visto che non era scaduto alcun termine perentorio.

La decadenza Il Comune di Giove emanava un provvedimento, a dicembre del 2012, con il quale «disponeva la decadenza dalla concessione, atteso che la rinunzia sarebbe da configurare quale istituto ad essa analogo; dall’altro lato determinava la restituzione soltanto parziale, pari ossia a due terzi, della somma già a suo tempo versata dalla ricorrente». Cioè 4 mila euro su seimila.

Il ricorso La signora faceva ricorso al Tribunale amministrativo regionale «per violazione di legge ed eccesso di potere per erroneità dei presupposti, atteso che la normativa “ratione temporis” applicabile non avrebbe previsto alcuna forma di penale in caso di rinunzia alla concessione. Penale questa prevista soltanto a partire dal 21 agosto 2012» cioè con una delibera consiliare successiva ai fatti.

Il Tar I giudici amministrativi hanno ritenuto che «non è corretta la tesi dell’amministrazione comunale nella parte in cui ritiene che la “rinunzia” sia da assimilare alla “decadenza” dalla concessione» anche perché «la ricorrente si è tempestivamente risolta – prima ossia che scadesse il termine di 36 mesi per la realizzazione della cappella funeraria – per la restituzione dell’area cimiteriale». L’amministrazione pubblica, di fronte ad una rinuncia «non ha alcuna discrezionalità, dovendosi limitare (salva l’eventuale adozione di provvedimenti per la messa in sicurezza e la conservazione) ad una mera presa d’atto». Quanto alla somma versata dalla ricorrente «il disciplinare di concessione
non prevede alcuna forma di trattenuta da parte dell’amministrazione comunale in caso di rinunzia». Il «trattenimento anche solo parziale di somme versate in caso di rinunzia alla concessione cimiteriale» è stata prevista solo due anni dopo la rinuncia e si configura come un «atto unilaterale» che la pubblica amministrazione non può far valere per il passato. Nessuna penale da pagare, quindi. Tanto più che l’eventuale trattenuta della somma avrebbe costituito un precedente «non altrimenti previsto da qualsivoglia norma di legge».

La sentenza Per questo i giudici del Tar hanno accolto il ricorso «con conseguente annullamento dell’atto in questa sede impugnato» e condanna del Comune al pagamento di 2 mila euro di spese.

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