Vigilante, guida turistica, archeologo. Brizioli tra il Perugino e gli scavi

Lo studente classe 1998 è appassionato di storie di persone comuni di secoli fa. Racconta le sfaccettature dei lavori che ruotano attorno ad un museo

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di G.R.

La mostra del Perugino può essere considerata la più importante dell’anno. Alzi la mano chi voglia smentirci, non crediamo sia così facile. La Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia ha aperto i battenti il 4 marzo con l’esposizione a 500 anni dalla morte del pittore che sarà aperta fino all’11 giugno. «E’ un vero spettacolo» commenta Stefano Brizioli, studente classe 1998 del dipartimento di archeologia all’università di Perugia, che si trova alla sua prima esperienza da vigilante. Fin da bambino la sua curiosità l’ha portato ad appassionarsi di storia e delle storie, oggi non gli dispiacere raccontarle a una platea di ascoltatori durante una visita guidata. Noi prendiamo un biglietto virtuale e ci facciamo accompagnare in tour speciale, attraverso gli occhi di chi quelle opere le vede da vicino ogni giorno: «Venite con me». Prego, faccia strada.

La mostra del Perugino

Come va organizzata una mostra l’ha studiato in classe, tra i banchi di museologia nella triennale di beni culturali. Una volta conseguita la laurea, continuando gli studi nella magistrale, la teoria è poi diventata pratica. Iniziando a lavorare per una cooperativa alla mostra del Perugino, il vigilante Stefano Brizioli ha studiato da vicino come è stata organizzata facendosi una sua idea. «Si parte – spiega – dalle prime opere fatte alla bottega del Verrocchio. Là il Perugino cerca di imparare le tecniche artistiche ma già si vede il suo talento. Mi ha colpito un suo autoritratto dove, invece di scrivere il suo nome, ha messo la dicitura ‘io’ per fare intendere la sua fama e riconoscibilità. Poi nelle varie sale si vedono i suoi progressi e il suo sviluppo culturale nel corso degli anni, fino ad arrivare all’ultima sala con lo Sposalizio della Vergine». Accanto a questo c’è però un altro quadro che è stato spunto per una riflessione: «Il Perugino è un grande artista e questa sensazione arriva forte guardando le sue opere anche a chi non è un critico d’arte. E’ però un essere umano come tutti e quindi non è una creatura perfetta. Vicino a quello che è considerato il suo capolavoro, c’è un quadro che per me è non è così bello e mi ricordo che alla fine puoi essere anche un fuoriclasse ma non sarai mai impeccabile». All’interno di una stanza sono presenti dei dipinti fatti da chi si è ispirato alla sua arte con risultati più o meno riusciti: «C’è da studiarli. Non è tanto un ricopiare lo stesso soggetto o gli stessi colori, quanto il cercare di ricreare uno stile di pennellata tipica del Perugino. Se guardati con attenzione, si riesce a notare questo dettaglio». A questo si unisce la storia dietro a Lotta tra amore e castità: «Isabella d’Este lo voleva nel suo studiolo al castello di San Giorgio a Mantova. Lui era abituato a Madonne ed altri soggetti religiosi, lei gli chiese uno scontro che era quindi un’opera in cui il movimento era determinante. Sappiamo attraverso uno scambio epistolare che lui non era affatto convinto. Prese tempo inventandosi quelle che siamo certi, attraverso incroci con altre opere, essere scuse. Poi quando la committente mostrò la sua delusione, lui rispose in maniera molto diplomatica sapendo però bene che non si trattava di uno dei suoi migliori lavori». Ci rassicura di aver visto con i suoi occhi i numeri che si leggono in giro: «Saranno almeno un centinaio al giorno con i picchi che si registrano nel weekend. La mattina arrivano principalmente le scolaresche. Tra queste c’è chi effettivamente è incuriosito, chi non è molto interessato ad ascoltare e chi invece si limita a fare i selfie con le opere più importanti. Nel pomeriggio arrivano studenti con taccuino e matita interessati a vedere da vicino un artista a cui potersi ispirare. Ci sono poi lavoratori, pensionati, appassionati e coppie. Per fortuna non abbiamo avuto problemi con nessuno. Solo due volte è successo che qualcuno ci ha risposto in malo modo perché magari lo invitavamo a non avvicinarsi troppo o a non sfruttare i gruppi senza aver pagato per la guida. Speriamo che da qui alla fine nessuno tenti atti vandalici. Di questi tempi non si può sapere».

Stefano Brizioli

Il vigilante

Se quando sentite la parola vigilante pensate a Ben Stiller in Una notte al museo siete fuori strada. Quello è un guardiano notturno e, anche se nella vita vera mammut e faraoni non prendono vita, si porta dietro un’aurea maggiore di mistero. Non è così entusiasmante invece fare il vigilante: «Ti trovi a stare tante ore in piedi in stanze piccole e con poca capacità di movimento. Serve resistenza fisica e anche mentale perché il tempo sembra non passare mai. A volte parli con qualche visitatore che ti chiede delle informazioni che tu apprendi sentendo tutti i giorni le guide». Si impara molto di più sulle opere che si hanno davanti: «Non ho mai avuto un grande rapporto con le mostre. Sono grandi e spesso dispersive. Entri, ti concentri su qualche quadro poi ti affatichi e ti rendi conto di quanto tempo stia passando. Un po’ ti viene fretta, un po’ ti senti appesantito. Più vai avanti, meno attenzione metti sui quadri che comunque osservi di sfuggita. Noi vigilanti invece li abbiamo davanti per tante ore e iniziamo a farci domande sia sulla realizzazione che sul messaggio. Se il soggetto del ritratto è triste, perché lo hanno rappresentato così. Da una domanda così ne può partire una batteria di altre con una riflessione che può prenderti anche delle ore. Consiglio poi di chiedere a noi qualcosa sulle opere perché possiamo avvicinarci più dei visitatori e notiamo maggiori dettagli. Ho sentito per esempio dire da qualche guida che l’anello non è dipinto perché in realtà era una reliquia conservata nella Cappella del Santo Anello del Duomo di Perugia. Ma guardando bene, mi sono accorto che c’è del colore che è sicuramente quello». Ha cambiato in questi mesi il suo punto di vista sulle mostre e consiglia come prepararle: «Servirebbe studiare già prima di entrare. Si scelgono alcuni quadri, uno o massimo due per stanza e si va su quelli. Ci si crea da soli il proprio percorso in base a quello che si vuole vedere. Magari si parte dalla prima stanza, poi si va alla quarta e poi si torna indietro alla terza. L’ordine non deve essere limitato dallo spazio fisico».

Guida turistica

Nel frattempo Brizioli si è trovato anche a fare la guida turistica passando quindi dal ruolo passivo a quello attivo di chi lavora dentro i musei: «Ho portato in giro principalmente scuole elementari. I bambini sono troppo simpatici, interagiscono molto e fanno osservazioni veramente interessanti. Si stancano velocemente e bisogna tenerli attivi con tanti esempi pratici e domande». Anche in questo caso il salto da spettatore a lavoratore si sente: «Una visita cambia tantissimo. Il primo sta attento solo a quello che lo circonda, una guida deve pensare a quello che sta dicendo senza perdere il filo del discorso, deve tenere sott’occhio come risponde il gruppo e in base a quello variare il proprio atteggiamento». In questi mesi lavora anche all’Ipogeo dei Volumni che è un vanto per l’Umbria: «E’ una testimonianza unica di tombe ipogee, un esempio di architettura funeraria molto interessante e una testimonianza dell’aspetto psicologico della vita dopo la morte dei nostri antenati. Anche gli oggetti del corredo funebre sono molto interessanti». Quello che si trova a fare gli piace molto ma diventare guida turistica in Umbria oggi è molto difficile: «Serve fare un esame di abilitazione ma la Regione non lo organizza da diversi anni. E’ molto difficile farlo come libero professionista quindi, senza legarsi per forza alle cooperative».

Archeologo

I suoi studi lo hanno portato anche a mettere le mani in prima persona negli scavi archeologici come a quello di Tarquinia. E’ questa ora la sua più grande passione: «La storia la scrive chi vince, le opere le commissionano i ricchi. A me piace scoprire la quotidianità delle persone comuni. Molte usanze odierne le avevano anche loro. Come noi andiamo al pub a bere con gli amici, gli etruschi utilizzavano dei vasi come contenitori e si raccontavano delle storie. I contenitori di profumi, i raschietti, gli specchi. Con gli oggetti e i resti riusciamo a immaginarci come vivevano centinaia o migliaia di anni fa e da quello si può imparare molto anche per il presente». Si alza, va a prendere delle foto di quelli che agli occhi di molti sarebbero dei semplici cocci. Ci spiega che appartenevano dei vasi, quale parte di questi erano, la loro funzione e la loro probabile storia. Ci illustra come vengono trovati e studiati. Un supereroe non ha bisogno sempre di un segnale luminoso che lo chiami in attività. A volte basta una passione, che ti porta dal cortile di casa tua dove giochi a scavare con gli amici. La prendi, la porti avanti e ne fai senza rendertene conto una tua missione. In fondo anche gli antichi hanno oggi la loro dignità.

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