Perugia, passi avanti contro il cancro

«Risultati sorprendenti» per lo studio Italia-Usa condotto dal professor Brunangelo Falini sulla leucemia a cellule capellute

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La nuova frontiera per i pazienti che non rispondono alle cure tradizionali si chiama vemurafenib, un farmaco ‘intelligente’ che colpisce selettivamente la lesione genetica che causa la leucemia a cellule capellute. I risultati ottenuti con questo inibitore, che a differenza dei chemioterapici può essere assunto per via orale, sono stati pubblicati dalla rivista medica New England Journal of Medicine. Lo studio, coordinato da Brunangelo Falini, direttore dell’istituto di ematologia con trapianto di midollo osseo dell’università di Perugia, e coadiuvato da Enrico Tiacci, è stato condotto parallelamente in Italia e negli Usa ed è stato finanziato dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc) nell’ambito del programma speciale ‘5 per mille’.

La leucemia a cellule capellute è una forma di leucemia cronica che determina una marcata riduzione delle normali cellule del sangue – globuli bianchi, globuli rossi e piastrine – che possono causare nel paziente infezioni molto gravi. I farmaci impiegati fino ad oggi spesso non risultavano efficaci: nella metà circa dei casi, dopo un periodo variabile dai due ai dieci anni, si verificava infatti una ripresa della malattia.

«Risultati sorprendenti» «Le risposte al vemurafenib sono state sorprendenti – afferma una nota dell’Airc – tanto più che al momento del reclutamento, molti dei pazienti erano già stati sottoposti a varie linee di terapia manifestando una malattia particolarmente aggressiva. Nei 49 pazienti valutabili si è osservata una risposta al farmaco che è stata del 96% nello studio italiano e del 100% in quello americano, con una percentuale di remissione completa del 35% nel primo studio e del 42% nel secondo. La risposta al farmaco è stata ottenuta nel giro di due-quattro mesi di terapia. Altro aspetto particolarmente significativo – spigano dall’Airc – riguarda gli effetti tossici del farmaco che sono sempre reversibili e si manifestano solo a livello cutaneo e articolare, ma non midollare».

Il luminare «Questi risultati eccezionali sono figli dei nostri studi del 2011 che ci portarono alla scoperta della mutazione del gene ‘Braf’ nella leucemia a cellule capellute – spiega il professor Falini -. Il fatto di aver compreso i meccanismi molecolari che causano la leucemia a cellule capellute ci ha permesso di aprire nuove prospettive sul fronte diagnostico e terapeutico. Ne è riprova il fatto che, a soli quattro anni da questa scoperta di base, è già disponibile un test molecolare specifico per la diagnosi di leucemia a cellule capellute e una terapia efficace con un farmaco ‘intelligente’ come il vemurafenib».

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