Terni: dopo 70 anni tornano sui banchi di scuola per un giorno

I ‘ragazzi’ del ’46 alla Oberdan, scuola che li ha visti protagonisti nel 1952

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«Settant’anni fa un gruppetto di ragazzi iniziava, inconsapevolmente un percorso di vita con beata innocenza, ora si ritrovano nella stessa scuola che aveva ospitato speranze e aspettative, sogni e incertezze». A parlare sono i ‘ragazzi’ del ’46, che dopo 70 anni sono tornati sui banchi della scuola Oberdan a Terni, quella scuola che li ha visti protagonisti nel 1952. In questa giornata erano presenti l’assessore alla scuola del Comune di Terni Cinzia Fabrizi, il vicario generale Salvatore Ferdinandi della Diocesi di Terni, Narni, Amelia, la dirigente della scuola Oberdan Barbara Margheriti e, appunto, i ‘ragazzi’ del ’46: Alessandro De Benedictis, Roberto Falchi, Pietro Falsini, Sileno Guerra, Vincenzo Lisci, Luciano Lucidi, Giampiero Mattioli, Mauro Mazzitelli, Attilio Moresi, Sergio Pietrolati, Ernesto Ricciutelli, Dario Righi, Giocondo Talamonti, Silvano Tedeschi, Danilo Todini, accompagnati anche dalle mogli.

La scuola

«La guerra finita da poco – raccontano – lasciava gli strascichi dell’indigenza compensata largamente dalla solidarietà. Era l’epoca felice in cui bastava un niente per sentirsi ricchi nello spirito e nel cuore. La scuola era vista come fucina del sapere, viva era la convinzione che saper leggere e scrivere fosse un vantaggio per uscire dalla miseria e dalle privazioni. Era vista meno come luogo di educazione comportamentale, perché chi vi entrava conosceva già le regole civili del rispetto, impartite dalla famiglia, attenta ad inculcare i valori sociali e morali praticati da chi aveva sofferto gli orrori della guerra. Un messaggio ai giovani che lo studio è fondamentale per crescere bene». A distanza di 70 anni, dagli stessi banchi della scuola Oberdan, hanno voluto dire ai giovani che «studiare, leggere e continuare a farlo nell’arco della vita, consente di essere liberi e di guardare ad un futuro di uguaglianza sociale». Agli inizi del ‘900 «l’analfabetismo raggiungeva l’80%, la maggior parte della gente firmava con una croce, per questo la parola data aveva un valore di contratto e gli accordi commerciali fra privati erano suggellati da una stretta di mano». Quella generazione ha vissuto «i licenziamenti negli anni ’50, la riconversione dell’Acciaieria dal bellico al civile e la grave crisi che portò prima a 700 e poi a 2.000 licenziamenti, mettendo sul lastrico migliaia di famiglie. Dal movimento di lotta prodotto dal legame sempre più stretto tra fabbrica e città, si è conformata ‘la classe operaia’ che ha avuto la capacità intellettuale di vedere sempre con chiarezza i contorni delle varie crisi, e tracciare la via per governare i processi di risanamento industriale che si sono succeduti fino ai giorni nostri».

La classe

Ma torniamo sui banchi di scuola. Nel 1952 in classe erano 25: Antonio Armagno, Eugenio Biancolatte, Arnaldo Buzi, Alessandro De Benedictis, Sergio Evangelisti, Roberto Falchi, Pietro Falsini, Adriano Ferranti, Mario Fausti, Renzo Fiocchi, Mario Giovannetti, Sileno Guerra, Nando Inches, Vincenzo Lisci, Attilio Moresi, Fabio Nafissi, Romualdo Ricci, Ernesto Ricciutelli, Franco Rossi, Daniele Severini, Giocondo Talamonti, Renato Tedeschi, Silvano Tedeschi, Paolo Trionfetti, Danilo Todini e la maestra era la signora Maria Spagnoli vedova Moretti. «Era un periodo in cui gli spostamenti frequenti delle famiglie da un quartiere ad un altro, comportavano cambiamenti di istituto e di classe. Tre nuovi iscritti alla seconda classe (Mauro Mazzitelli, Giampiero Mattioli e Sandro Proietti), altri due sono stati inseriti in terza elementare (Pino De Rosa e Dario Righi), altri inserimenti si sono aggiunti in quarta (Piero Chiavetti, Carlo Duzi e Rossano Ricciutelli) e in quinta (Tommaso Guarino, Luciano Lucidi, Massimo Moroni e Sergio Pietrolati), altri sono usciti dal gruppo iniziale (Antonio Armagno, Pietro Falsini, Mario Giovannetti, Nando Inches)».

Il messaggio ai giovani

I ‘ragazzi’ del ’46 hanno già festeggiato nel 2002 cinquant’anni insieme ed in quella occasione la dirigente ha messo a disposizione «i giudizi di allora, trancianti per tutti, salvo qualcuno. Riproporli oggi significa l’allontanamento della maestra per incapacità pedagogica. Nonostante l’abisso fra i metodi del tempo e quelli odierni, siamo tutti cresciuti con sani valori. Tutto era più facile a scuola in tema di educazione perché la famiglia collaborava allo sforzo dell’insegnante. La scuola era un punto di riferimento per tutti, al contrario di oggi, sottoposta a critiche ingiuste da famiglie spesso disunite, da genitori separati che si fanno perdonare la colpa con regali, paghette settimanali, sostituti ordinari dell’affetto cui ogni figlio ha diritto. Anche la figura del docente ha perso prestigio e autorità; gli esempi di reazioni scomposte di genitori insofferenti agli interventi dei docenti sono all’ordine del giorno». Il messaggio forte che i ‘ragazzi’ del ’46 hanno voluto trasmettere ai nipoti è quello di «considerare lo studio e l’educazione fattori prioritari della crescita di ognuno». I ‘ragazzi’ del ’46 sono «una testimonianza di bravi ragazzi, hanno imparato senza accorgercene il senso dell’amicizia disinteressata, il senso dell’appartenenza ad una comunità capace di unire e affratellare. Allora, dire ‘io so de borgo Bovio’ non era solo un monito che faceva riflettere chi avevi difronte, era un orgoglioso senso di appartenenza, di unità, di partecipazione alla vita del quartiere, significava impegnarsi per diventare protagonisti della crescita personale e di gruppo».


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