Terni e la violenza giovanile: «Qual è la novità? Basta giudicare, diamo speranze ai ragazzi»

La riflessione dello psicologo Maurizio Bechi Gabrielli

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di Maurizio Bechi Gabrielli
Psicologo, psicoterapeuta

Maurizio Bechi Gabrielli

I recenti fatti di cronaca che si sono verificati a Terni negli ultimi giorni ripropongono il problema della diffusione di comportamenti delinquenziali tra adolescenti e giovani adulti. Certo, il Covid e le restrizioni che ne sono seguite hanno aggravato la situazione, ma questi eventi non sono fatti nuovi. Molti adulti sembrano stupirsi e non capacitarsi di questi avvenimenti: ‘Ma come, qui da noi? Ma una volta eravamo un’isola felice!’. Altri non trovano di meglio che scaricare la propria rabbia e il proprio sbigottimento sui giovani, troppo viziati, troppo immaturi, troppo…, e troppo poco…

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Terni, come non era probabilmente un’isola felice in passato, non è un’isola infernale adesso. Di fatti di questo genere la cronaca italiana e non solo ne è quotidianamente piena. Non che questo significhi che sia tutto normale o che ci si debba rassegnare al peggio. È che bisogna allargare lo sguardo e cercare di capire dove si collocano le radici del fenomeno. La violenza giovanile non nasce per caso o per gemmazione spontanea, e non è nemmeno nel Dna di questi ragazzi. Basta alzare lo sguardo per accorgersi che viviamo in una società violenta. La cultura sociale incoraggia la violenza, quantomeno la tollera. In tutto il mondo. Sempre più si perde di vista ‘l’Uomo’ per alimentare ‘il consumatore’, con una spinta massima al consumo, all’efficienza fine a se stessa, alla competitività, al possesso dell’ultimissimo modello dell’oggetto di moda.

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Come segnalava lo psicoanalista Massimo Recalcati qualche tempo fa sulla stampa, una ‘società liquida’ (come viene spesso definita quella attuale) produce un ‘Io liquido’, una personalità che ha bisogno di un contenitore per potersi esprimere. E in questo periodo di cambiamenti costanti e rapidissimi, l’unico contenitore possibile finisce per essere la definizione di sé non più attraverso le somiglianze, le appartenenze, ma attraverso le differenze. L’identità si sperimenta e si esercita con comportamenti aggressivi verso la diversità; un po’ come gli spettatori di fronte ad un atto di bullismo: ridere di fronte a questi comportamenti ha, dal punto di vista psicologico, l’effetto di sentirsi diverso dalla vittima. E allora ecco scatenarsi l’aggressività più incontrollata, come si può facilmente rilevare sui social, dove gli ‘haters’, i cosiddetti ‘leoni da tastiera’, si scatenano contro tutto e tutti, vomitando insulti e maledizioni a prescindere.

L’aggressività fa parte del bagaglio comportamentale di molti animali e anche dell’essere umano, ma in quest’ultimo, a differenza degli altri animali, non è governata dall’istinto, ma dalla ragione e dall’etica. Se manca questa capacità di governo, diventa solo un istinto bestiale.

In una società con poche certezze come quella attuale, in una città con poche risorse per i giovani come la Terni dell’ultimo periodo, viene meno la speranza per il futuro. La speranza – ci dice lo psicanalista Erik Erikson – è un punto di forza fondamentale per l’uomo, senza la quale non potrebbe sopravvivere. Senza la speranza prevale la disperazione. E dalla disperazione può nascere la rabbia. La rabbia dei giovani per un futuro oscuro e inquietante si scatena contro chiunque. La rabbia è una reazione ad una minaccia, reale o solo percepita, ma comunque presente, e di fronte a questa minaccia i ragazzi si sentono soli e privi di prospettive. Spesso il clan, il branco è l’unico riferimento che hanno e che consente loro di non sentirsi soli e di costruirsi un’Identità, anche se è un’Identità ‘contro’. Contro chi? Contro tutti.

Occorre ricordare che è compito degli adulti costruire opportunità per i giovani che alimentino la speranza. Ed è sempre compito degli adulti incoraggiare la speranza come sentimento interno nei giovani. Tocca alle istituzioni, certo, ma anche a tutti gli adulti educanti; nessuno può cavarsela dicendo semplicemente ‘prenditi questo benedetto diploma e poi vattene da questa città’. E chi non se ne vuole andare? E chi non ce la fa? Non è tempo di limitarsi ad osservare o a giudicare. Nessuno può chiamarsi fuori.

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