Undici condanne per oltre 45 anni di carcere totali: si chiude così in primo grado, davanti al tribunale di Perugia, il processo per i presunti maltrammenti fisici e psicologici avvenuti tra il 2014 e il 2016 alla comunità terapeutica ‘L’alveare’ di Torchiagina, frazione di Assisi, ribattezzata ‘l’ospizio lager’. Una drammatica vicenda emersa a seguito delle indagini svolte dal Nas, che avevano portato alla luce l’inferno nel quale sarebbero stati costretti a vivere gli ospiti della struttura, tra violenze, vessazioni, umiliazioni e insulti. A riportare la notizia della condanne, martedì, è Il Corriere dell’Umbria con un pezzo a firma di Francesca Marruco.
Tutte le condanne
In particolare il dottor Fulvio Fraternale, gestore della Comunità, è stato condannato a 6 anni, Maria Grazia Chiarello a 6 anni e 6 mesi, Bogdan Radu (soprannominato ‘Bulldog’ per i suoi modi violenti) a 7 anni e 6 mesi, Rosa Piscitelli a 2 anni e 2 mesi, Matteo Servello a 3 anni e 9 mesi, Antonio Vasta a 2 anni e 9 mesi, Irene Fraternale Macri a 3 anni, Eleonora Bacchi a 2 anni e 9 mesi, Luisa Moschiano a 2 anni e 9 mesi e infine Alessio Belardi a 5 anni e sei mesi. Disposte dal giudice, in totale, provvisionali per circa 170 mila euro. Gli imputati erano accusati a vario titolo di maltrammenti e percosse, alcuni di loro anche di sequestro di persona.
L’inferno
Dalle indagini, durante le quali erano stati registrate 4 mila ore di filmati attraverso le videocamere piazzate dai militari nella struttura, erano stati appurati numerosi episodi di violenza all’interno della Comunità, come pazienti chiusi a chiave in bagno, legati alle sedie mani e piedi con lo scotch, costretti a subire punizioni umilianti, oppure lasciati senza pasto, fino alle bastonate, ai calci, ai pugni e agli schiaffi. Un quadro che ha spinto il giudice Francesco Loschi a condannare tutti gli imputati, anche quelli per i quali il pm Filomena D’Amore aveva chiesto l’assoluzione. Fraternale, tramite il suo legale Luca Gentili, aveva depositato una memoria in cui ha sostenuto di non essere a conoscenza di quanto avveniva all’interno della struttura per mano degli operatori. Dopo le dure condanne la vicenda ora sarà destinata a proseguire in appello.