Piediluco e la lite sulla fascia alberata da 16 m

Terni, si parte dal 2008: la Rit voleva realizzare un complesso ricettivo, palazzo Bazzani ha imposto una contestata prescrizione. L’ente condannato a risarcire dal Tar Umbria

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di S.F.

Un parere favorevole ma con una condizione: «La messa a dimora di nuove alberature atte a schermare l’edificato dalle visuali panoramiche per una fascia di spessore minimo di 16 metri». Da queste poche parole è nata una bagarre giudiziaria a livello amministrativo – coinvolti sia il Tar Umbria che il Consiglio di Stato – tra la Rit s.r.l. e la Provincia di Terni, l’ente che ha deliberato quel giudizio nel giugno 2008 in merito ad un piano attuativo di iniziativa privata per creare un complesso ricettivo-alberghiero da 66 unità immobiliari, fabbricati (massimo di due piani, disposti a corte) e un’area a destinazione verde pubblico in località ‘I Quadri’ di Piediluco. Undici anni dopo la vicenda si chiude, forse: l’ente con sede a palazzo Bazzani è stato condannato a pagare 32 mila 299 euro come risarcimento a danno della società ricorrente. Che non può esultare più di tanto in realtà: la richiesta era stata di 1 milione 290 mila euro.

Dove e cosa prevedeva il progetto 

L’area in questione ha una superficie di 9 mila 300 metri quadrati – compresa nella variante parziale Pee al piano particolareggiato di Piediluco con destinazione a strutture ricettive alberghiere – ed è di proprietà della Rit: qui c’è un casale in stato di abbandono e la società – il piano attuativo fu presentato nell’ottobre 2006 – aveva intenzione di riqualificare tutto come sopra descritto (spazio anche per 70 posti auto). Il progetto prevedeva inoltre una ‘schermatura’ a valle attraverso una barriera verde con alberi di alto fusto. La Regione Umbria diede l’ok con tanto di agevolazione di 377 mila 760 euro e la commissione comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio di palazzo Spada fece lo stesso dal punto di vista paesaggistico ambientale. Ma manca il via libera della Provincia. Ed inizia lo scontro.

Piediluco

Scontro sulla ‘barriera’ verde: ricorso a Tar e Consiglio di Stato

Da palazzo Bazzani il giudizio arriva il 9 giugno del 2008, ma c’è qualcosa che non va giù alla Rit: la prescizione sulla messa a dimora di nuove alberature per la ‘schermatura’ di 16 metri dalle visuali panoramiche. Come mai? Perché la fascia avrebbe interessato quasi tutti gli edifici da realizzare, «rendendo pressoché irrealizzabile il progettato intervento». Scatta il ricorso al Tar Umbria perché la società ritiene illegittima la determinazione della Provincia: viene respinto perché infondato. Oltretutto la prescrizione viene interpretata dai magistrati come riguardante un solo lato dell’area della Rit e non tutta come lamentato. Passano sei anni e nel 2015 il Consiglio di Stato accoglie il ricorso – riforma sentenza – della società, annullando in parte il provvedimento. Conseguenza? La richiesta di risarcimento.

La Provincia di Terni

Il danno e la nascità di un altro complesso

Nello stesso anno parte la seconda fase della battaglia giudiziaria. La Rit ricomincia dal Tar Umbria, questa volta – appoggiandosi al giudizio del Consiglio di Stato – per avere denaro dalla Provincia: «Dalla motivazione della sentenza di II° grado – si legge nel provvedimento pubblicato in settimana dal Tar – emergerebbe in maniera inequivocabile la grave colpa nell’adozione del parere; e ciò sia in ragione degli aspetti sostanziali che procedurali nell’azione provinciale. Il parere annullato dal Consiglio di stato avrebbe arrecato alla Rit un gravissimo pregiudizio economico; a causa dell’impossibilità di realizzare il progetto, così come approvato da Regione e Comune, derivante dalla prescrizione imposta dalla Provincia di Terni annullata dal Consiglio di stato, la società avrebbe definitivamente perso la possibilità di realizzare l’intervento». Per cosa? «Lungo lasso di tempo trascorso e dell’antieconomicità dell’investimento a distanza di circa 10 anni dalla presentazione del progetto e di oltre otto anni dall’approvazione del piano attuativo; perdita del finanziamento riconosciuto dalla Regione di euro 377 mila 760 euro  indispensabile per realizzare l’intervento in questione; mutate condizioni del mercato immobiliare e del mutato contesto turistico che ha interessato la zona di Piediluco, essendo stato realizzato, nelle more del giudizio, da altro soggetto un importante complesso turistico denominato ‘Miralago’ che ha ridotto di molto il mercato per gli operatori turistici, stante anche le modeste dimensioni della zona di Piediluco e la presenza anche di altre strutture ricettive». Calcoli alla mano la società dà la sua cifra: 1 milione 290 mila euro di risarcimento.

La difesa di palazzo Bazzani: «Scelta loro non farlo»

Dal canto suo la Provincia ha ovviamente rigettato le richieste della Rit giudicandole infondante, contestando inoltre la quantità del risarcimento. «Il comportamento processuale ed extraprocessuale –  il sunto dei magistrati del Tar in merito alla risposta dell’ente di palazzo Bazzani – della ricorrente ha concorso alla determinazione del danno, non avendo la Rit s.r.l. posto in essere comportamenti per evitare la perdita del finanziamento regionale (rinuncia alle misure cautelari in primo grado e mancata proposizione in appello; mancati solleciti al Comune perché si pronunciasse stante il ritardo Provinciale). Per quanto attiene alla quantificazione del danno, la difesa provinciale ha evidenziato che il mancato introito del finanziamento non può essere addebitato all’ente, in quanto conseguenza del comportamento processuale della società, oltre che progettuale di non aver voluto aderire alla prescrizione. Per quanto riguarda le spese per l’acquisto del terreno e del complesso destinato a circolo sportivo, si evidenzia che la Rit s.r.l. otterrebbe un indebito ed ingiustificato arricchimento, considerando che i beni sono parte del patrimonio e del capitale della società; l’area edificabile con il piano attuativo approvato costituisce un valore per la società, con potenzialità almeno equivalente al passato, attualizzata, considerato che, rispetto agli anni 2008-2009, il mercato immobiliare è in condizioni migliori. Inoltre, l’area di Piediluco, proprio per le sue caratteristiche, costituisce un mercato ristretto e quindi potenzialmente redditizio per gli investitori. Allo stesso modo, l’amministrazione provinciale contesta la richiesta risarcitoria quanto alle spese di progettazione ed al capitale investito: anche in considerazione della minima misura (circa il 20%) di contribuzione pubblica rispetto all’investimento (comunque a rendicontazione), sarebbe solo per scelta della società che l’intervento edilizio non è stato realizzato. Infine, la difesa provinciale contesta la richiesta di risarcimento per il danno all’immagine della Rit s.r.l., la quale, sul piano processuale, ha gestito la controversia consapevolmente, scegliendo di non usufruire degli strumenti processuali della tutela cautelare che gli avrebbero consentito, oltre che molto probabilmente di ottenere una sospensione dei termini per il finanziamento, anche un giudizio rapidissimo, che avrebbe potuto condurre alla sospensione della sentenza del primo grado e quindi un diverso epilogo della controversia».

Tar Umbria: la disparità di trattamento

Il Tar accoglie in parte il ricorso richiamando la sentenza del Consiglio di Stato che, nel 2015, aveva evidenziato la violazione dei canoni di logicità, buon andamento, buona fede ed imparzialtà nell’operato della Provincia. Evidenziato infatti come «con riferimento alla prescrizione della fascia alberata di 16 metri di spessore, l’illegittimità della prescrizione è rilevabile anche sotto i concorrenti profili della disparità di trattamento, della contraddittorietà e del difetto di istruttoria. Sino allora nella stessa zona interessata – ‘I Quadri’ – nessun altro intervento edificatorio dello stesso tipo è risultato destinatario della prescrizione della fascia alberata di 16 metri». Non solo: «Attività istruttoria – si legge nel documento del Consiglio di Stato – assolutamente carente nella fattispecie» e assenza di giustificazione per la prescrizione che «non viene minimamente collegata alle previsioni di tutela contenute nella predetta norma, ossia all’art. 137 del Ptcp nell’ambito del quale l’amministrazione provinciale era chiamata a rendere il proprio parere vincolante. Una fascia dello spessore di 16 metri non trova giustificazione normativa e neppure logica». Gli avvocati coinvolti sono Giovanni Ranalli (Rit) e Patrizia Bececco (Provincia). All’epoca il presidente dell’ente era Andrea Cavicchioli.

Il mini risarcimento

Il discorso cambia per quel che concerne il risarcimento. Vengono ‘ammesse’ le spese per la progettazione architettonica, impiantistica ed ingegneristica dell’opera (a cura di Terni Progetti, Paola Margheriti e Miro Virili) più la cifra riguardante l’escussione della polizza fideiussoria a favore del Mise per la mancataa realizzazione dell’intervento: totale di poco superiore ai 32 mila euro. Tutto il resto è ‘tagliato’: «Non può riconoscersi il richiesto risarcimento per le spese sostenute per l’acquisto di terreni, in quanto dagli atti emerge che i terreni non sono stati acquistati dalla società, bensì conferiti dai soci contestualmente ad un aumento di capitale sociale avvenuto nel 2005, pari a 50 mila euro (importo pari al valore stimato dei terreni); inoltre i beni immobili in questione fanno attualmente parte del patrimonio della società, che non ha provato una diminuzione del valore degli stessi». Idem per le spese legate all’acquisto del complesso immobiliare destinato a circolo sportivo per 415 mila 600 euro: «Sono stati acquistati da una diversa società, la Salvati s.p.a.; difetta, pertanto, la legittimazione in capo alla ricorrente». ‘No’ anche per il mancato introito dei 377 mila 760 euro della Regione: «Si trattava di fondi da ottenere a consuntivo – presupponendo l’intero investimento, che la ricorrente non ha provato di aver effettuato – e comunque non rimborsabile perché sarebbe stato diretto a finanziare i costi della manodopera rispetto a lavori non eseguiti (quindi costi non sostenuti)». C’è anche una specifica: «Negli atti di parte ricorrente si rilevano talune contraddizioni ed una evidente duplicazione delle voci di danno; inoltre, in merito alle singole voci si riscontra la presenza di spese che non sono state effettuate dalla ricorrente». Infine il lucro cessante, per il quale non «è stata fornita adeguata prova al riguardo. La valutazione tecnica sul punto non quantifica il lucro cessante limitandosi a fornire una stima complessiva del danno, né offre sufficienti elementi per valutarlo». Risultato? La Provincia ne esce con una cifra relativamente bassa da risarcire. Sempre che non si vada al Consiglio di Stato.

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