Teatro Verdi di Terni, non diamo i numeri

Il presidente del Comitato civico insiste e ‘bacchetta’ umbriaOn. Ma, ancora una volta, non dice come il teatro che sogna sarebbe economicamente sostenibile

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di Roberto Carelli
Presidente Comitato Civico Pro Teatro Verdi Terni

Il primo maggio u.s. il notiziario online Umbriaon prendeva in considerazione gli open data forniti nell’ambito del progetto Open Cultura, relativi al trend di utilizzo del Teatro Secci da parte del pubblico pagante, con riferimento alla stagione 2014/2015.

Ebbene facciamo notare che logisticamente il Teatro Secci, che nasce per ospitare rappresentazioni di Teatro Sperimentale e di Avanguardia, risulta privo di alcune caratteristiche tecniche che lo rendono, di fatto, inadatto ad ospitare, ad esempio, eventi lirici o concertistici (anche se alcune Associazioni come la Filarmonica Umbra hanno evidentemente fatto “buon viso a cattivo gioco”).

Alle caratteristiche tecniche, nel renderlo inadatto, si associa la bassa mole di spettatori paganti che potrebbero essere ospitati (massimo 300) che alcuni imprenditori del settore non ritengono sufficienti. Infatti il numero minimo di spettatori che potrebbe essere “interessante” (come dichiarato, ad esempio, da Carlo Pagnotta e Silvia Alunni) è dai 1000 in su.

E’ esemplificativo, in questo senso, che a fronte dei 150 giorni di utilizzo del Teatro Secci che si è riservata l’Amministrazione Comunale, il “privato” abbia utilizzato la medesima struttura per “appena” 30 repliche. In altre parole, se consideriamo 300 giorni lavorativi potenziali all’anno, il Secci è stato richiesto da paganti solo nel 10% delle sue potenzialità. Considerando che siamo senza il Verdi da circa 10 anni e che il Secci è in funzione più o meno dallo stesso numero di anni, si può ben dire che la sua costruzione sia da considerare un insuccesso.

Il problema dello “sbigliettamento” (termine gergale non molto elegante ma che rende l’idea), ha condizionato e condiziona tutt’ora (in mancanza della possibilità di utilizzare il Teatro Verdi), le scelte di alcuni operatori del settore. Pensiamo, inoltre, al Concorso Pianistico Internazionale Alessandro Casagrande costretto ad “emigrare” a Roma pur di sopravvivere.

Ma la situazione del Cinema-Teatro Verdi prima della sua chiusura non è che fosse migliore. I numeri: solo “tenere” il Verdi costava circa 160.000 euro l’anno di costi fissi, oltre un costo giornaliero stimato in 700 euro/giorno lavorativo (maschere, siparista, cabinista e consumi).

A fronte della necessità che lavorasse almeno 70 giorni all’anno al fine di raggiungere l’equilibrio di gestione (senza minimamente incidere sull’abbattimento dei costi fissi di gestione), in circa 10 anni di rilevazione dei dati (dall’anno 2000 alla dichiarazione di inagibilità avvenuta nell’anno 2008) la media di giorni di utilizzo/anno solare è stata di 60 giorni lavorativi.

Questi dati, prodotti e resi pubblici nel settembre 2015 dal lavoro congiunto dell’Assessorato ai Lavori Pubblici, dall’Assessorato all’Urbanistica e dall’Assessorato alla Cultura, mostrano con evidenza che se il Teatro Secci non piace agli operatori di settore, anche il Cinema Teatro Verdi, così come concepito e fatto realizzare da Lucioli nell’immediato dopoguerra, non piaceva poi tanto.

Numeri alla mano, il Comitato Civico Pro Teatro Verdi auspica che il progetto relativo al recupero del Teatro cittadino venga rimesso in discussione al fine di evitare la ripetizione di errori che ricadrebbero su tutta la comunità.

Ci chiediamo inoltre come mai una struttura chiusa dal 2008 perché dichiarata inagibile e non più adeguata alle normative vigenti sia di carattere strutturale che impiantistico, sia stata aperta e concessa in uso a Luca Manfredi per “girare” alcune scene del film sull’indimenticabile Nino (proiettato in “prima” nazionale proprio in questi giorni). Probabilmente è stato pagato “il disturbo” all’Amministrazione Comunale ma se fosse accaduto un qualche incidente, su di chi avrebbe gravato la responsabilità di tale decisione?

Sembra proprio che i numeri siamo in molti a darli.

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Il dottor Roberto Carelli, che di professione mi dicono faccia il dentista, fa un paio di errori: il primo è poco grave, ci chiama Umbriaon invece di umbriaOn, ma di refusi sono pieni anche i miei articoli e quindi ci sorrido).

Il secondo lo è un pochino di più, in quanto dice che abbiamo preso in esame i dati del 2014/2015, mentre invece quelli utilizzati sono del 2016 e la stagione precedente è usata solo come riferimento: Particolarmente interessanti – era scritto nell’articolo – i dati della Stagione di Prosa e Danza 2015/2016 – c’è scritto – che ha proseguito nel trend di aumento delle presenze facendo registrare un incremento delle stesse, rispetto alla stagione 2014/2015, del 12 % con 7.946 spettatori alle 30 repliche andate in scena (il dato più alto delle sei stagioni al Secci), registrando un indice di occupabilità (posti occupati/posti disponibili) pari al 90%». Praticamente ad ognuna delle 30 repliche hanno assistito 264 persone. Anzi, per la precisione 264,86. Che non sono bastate nemmeno per riempire il piccolo teatro Secci

Inquietante – e se il dottor Carelli ha le prove le porti subito nei luoghi deputati – è l’affermazione relativa al fatto che «è stato pagato “il disturbo” all’Amministrazione Comunale» per l’utilizzo del teatro a scopi cinematografici.

Su una cosa, infine, sono d’accordo con il dottor Carelli: quella sul dare i numeri. Nel senso che chi vuole avanzare progetti e idee – sempre i benvenuti in una città che non ne produce in quantità – deve anche mostrare quelli in base ai quali ritiene che il progetto che caldeggia sia sostenibile.

Marco Torricelli
Direttore di umbriaOn

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